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Dal Nuovo Quotidiano di Puglia  di Venerdì 3 Dicembre 2010 (di Alessandro Cellini)

Il Consiglio di Stato ribalta il verdetto del Tar sull'agguato in cui morirono tre persone

Grottella, no al risarcimento

«Non fu strage mafiosa»: negato l'accesso al Fondo per le vittime

 

La strage della Grottella non fu un agguato mafioso e, per questo motivo, i parenti delle vittime non hanno diritto al risarcimento.

Dice questo la sentenza del Consiglio di Stato che mette la parola fine alla controversia, nata a pochi anni dall'agguato, tra i familiari delle guardie giurate e il Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso istituito presso il ministero dell'Interno.

Insomma, visto che nella sentenza di condanna di Vito Di Emidio e soci non c'è traccia dell'aggravante di mafia, quell'agguato non fu mafioso. A dispetto proprio della caratura criminale dello stesso "Bullone", oggi collaboratore di giustizia e all'epoca personaggio di spicco della Sacra corona unita.

La vicenda si trascina dal 2003, quando i parenti di Raffaele Arnesano, Rodolfo Patera e Luigi Pulli, le vittime di quel 6 dicembre 1999, presentavano alla Prefettura di Lecce le domande per accedere alle provvidenze previste dal fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime di reati di tipo mafioso.

Le istanze, all'epoca, furono respinte. «La condanna degli imputati — fu la motivazione data — è stata pronunciata per reati diversi da quelli indicati" nella legge istitutiva del Fondo, "atteso che essa non è riferita all'articolo 416 bis (associazione per delinquere di stampo mafioso), bensì al reato di associazione per delinquere semplice». I parenti presentarono un ricorso al Tar che diede loro ragione e annullò la delibera del Comitato. Quest'ultimo si rivolse al Consiglio di Stato per ribaltare la sentenza del Tar.

La questione, come sottolineano anche i giudici della Consulta, è se «all'autorità amministrativa che deve pronunciarsi sui presupposti per l'accesso alle provvidenze di cui si tratta sia possibile riconoscere un autonomo apprezzamento della vicenda penale, in ipotesi divergente da quello compiuto dal giudice penale». In sostanza, se il Comitato poteva ignorare il fatto che gli imputati non avevano ricevuto una condanna per mafia, come espressamente richiesto dalla legge. La risposta è "no' nonostante il Comitato avesse «elementi sufficienti ad inquadrare il fenomeno delittuoso in un contesto tipico della delinquenza mafiosa, vista la trascorsa vicenda di membro di associazione a delinquere del tipo mafioso del capo del gruppo», Di Emidio appunto. E nonostante anche «le sue dichiarazioni, quale collaboratore di giustizia, sulla destinazione di parte dei proventi a detenuti facenti parte di tale associazione».

Tutti elementi, insomma, che valgono poco se alla fine la condanna non parla di mafia. «L'emanazione di sentenze penali di condanna per i reati elencati nella legge istitutiva - scrivono i giudici del Consiglio di Stato - è presupposto tassativo per l'attribuzione delle provvidenze a carico del Fondo. E il Comitato o il Prefetto — concludono i magistrati — non sono titolari di poteri autonomi di apprezzamento dei fatti-reato».

Nessun risarcimento, quindi. La strage della Grottella non fu un delitto di mafia.

 

Alessandro Cellini

 

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Dal Nuovo Quotidiano di Puglia  di Sabato 4 Dicembre 2010 (di Gianfranco Lattante)

Dopo il  Consiglio di Stato, parla il sottosegretario Mantovano

«Tutta colpa di prefetti e giudici ottusi»

Strage della Grottella: no al risarcimento, Mantovano accusa

 

Sottosegretario Alfredo Mantovano, il Consiglio di Stato ha chiuso le porte alle vedove della strage della Grottella: non possono accedere al Fondo per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso perché non è stata riconosciuta la mafiosità della strage. Lei che ne pensa?

«È una vicenda in cui purtroppo ha vinto il burocratismo e il formalismo ottuso».

In che senso?

«Mi spiego. La Legge 512 del 99, che ha istituito il Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, viene fuori da una mia proposta presentata nella tredicesima legislatura e funziona in questa maniera: se vi è una condanna per mafia o per qualsiasi altro reato aggravato dalla finalità mafiosa, chi si costituisce parte civile ed ottiene dal giudice il riconoscimento di un risarcimento in suo favore, invece di provare inutilmente ad azionare questo titolo verso il condannato che, normalmente risulta impossidente, si rivolge al Fondo che è stato istituito presso il Ministero dell'Interno dal quale riceve la somma che è stata stabilita dal giudice. Poi il Fondo si surroga nei diritti della parte civile per recuperare le somme».

Questo è il meccanismo della sua legge. Ma, visto che la sentenza ha ritenuto che la strage della Grottella non fu un agguato mafioso, lei come si mosse?

«Nel 2003 i familiari delle vittime si sono rivolti a questo Fondo. Ed io invitai caldamente, anche nel rispetto dell'autonomia tecnica del Comitato, a non fermarsi alla lettera della sentenza (nel merito della quale non entro per rispetto di un altro organo dello Stato) ma a valutare la mafiosità dal contesto e dal profilo di Di Emidio e ci fu anche una valutazione favorevole da parte della prefettura di Lecce. Ma in maniera inopinata il Comitato si attestò sul dato formale del giudice».

Il Tar, però, ha ridato speranza alle famiglie delle tre guardie giurate.

«Il Tar ha riconosciuto le loro ragioni. Ed ha spiegato che se c'è un comitato che è chiamato a valutare la richiesta delle vittime, evidentemente il comitato ha un margine di discrezionalità altrimenti basterebbe un funzionario pagatore: se c'è mafiosità paga, altrimenti no. Ma non essendo così meccanico, ma c'è un Comitato presieduto da un prefetto un minimo di discrezionalità tecnica c'è».

Ieri, però, è giunta la decisione del Consiglio di Stato: ed è stata una doccia fredda...

«Ritenevo che le cose si fossero fermate lì. Invece ho scoperto in questi giorni che il prefetto che presiedeva quel Comitato non pago della sentenza del Tar l'ha impugnata davanti al Consiglio di Stato che ha fornito daccap una lettura formalistico-burocratico. Io sono rammaricato e mortificato per questo».

Ma, come autore di quella legge sull'istituzione del Fondo di rotazione, come giudica tutto questo?

«Ritengo che la decisione del Comitato e la sentenza del Consiglio di Stato siano estremamente ingiuste. Ed essendo, tra l'altro, l'autore della legge avevo sollecitato legittimamente (spero che questo non sia utilizzato come un tentativo di abuso in atti d'ufficio) una decisione conforme a quello che ritengo lo spirito della legge».

E adesso cosa resta da fare per i familiari delle vittime?

«In presenza di una decisione del Consiglio di Stato anche se io adesso sollecitassi il Comitato nessuno si assumerebbe la responsabilità perché altrimenti verrebbero fuori illeciti sul piano contabile».

Chi ha perso in questa vicenda?

«La ritengo una sconfitta della sostanza e di tutti. È una vittoria soltanto del formalismo più ottuso che spesso passa attraverso le persone di alcune prefetti e di alcune sezioni giurisdizionali.»

E chi risarcirà i parenti?

«Hanno il titolo giudiziario che possono mettere in esecuzione nei confronti dei condannati, con tutte le difficoltà del caso. Se questi risultano impossidenti, purtroppo, il titolo è virtuale».

Per le vedove oltre al danno, anche la beffa?

«Per loro in prima persona. Immagini lei come posso sentirmi io essendo ancora adesso in quel ministero. Purtroppo questo tipo di difficoltà le riscontriamo anche nelle pratiche di ristoro dal racket e prevenzione usura. Spesso l'ostacolo non è l'avversario politico, ma il burocrate che guarda alla lettera ma non allo spirito della norma».

 

Gianfranco Lattante

 

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