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Il collaboratore di giustizia D. Toma parla sulla "sepoltura" di G. Corigliano (4/9/01)

Dal collaboratore di giustizia D. Toma nuovi nomi per l'omicidio di R. Santolla (6/9/01)


Dalla Gazzetta del Mezzogiorno di Martedì 4 Settembre 2001

Il pentito fa scoprire due altre «sepolture»

Dario Toma ha condotto gli investigatori sui luoghi dove sarebbero stati nascosti i cadaveri di Luigi Scalinci e Giovanni Corigliano

Dei corpi nessuna traccia. Le ricerche per il momento sono state abbandonate

Ha parlato anche di due vecchi casi di «lupara bianca», nelle dichiarazioni rese fino ad ora ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia, Dario Toma, 32 anni, di Campi Salentina, l'ultimo collaboratore di giustizia in ordine di tempo dei clan della Sacra corona del Nord Salento.
Si tratta delle «lupare bianche» di Luigi Scalinci, di Campi, scomparso nel gennaio del 1989 all'età di 47 anni, e di Giovanni Corigliano, di Veglie, scomparso invece all'età di 26 anni, sempre nel lontano 1989.
Dopo aver consentito, lo scorso luglio a carabinieri e poliziotti, di rinvenire i cadaveri di Andrea Malestesta, di Surbo, e di Antonio Russo, di Campi, scomparsi solo tra febbraio e marzo di due anni fa, l'ex autista del capo bastone di Campi, Gianni De Tommasi, condannato all'ergastolo per vicende di mafia, ha indicato a inquirenti ed investigatori, anche i sepolcri di Scalinci e Corigliano, al pari di Maletesta e Russo, uccisi nell'ambito della «guerra» di mala, che ieri come oggi, continua ad insanguinare il Salento, ed in particolare i paesi a ridosso del confine con la provincia di Brindisi.
Ma dei due cadaveri non è stata ancora trovata traccia, e forse mai si troverà, perché nel corso dei dodici anni di oblio, lo stato dei luoghi dove vennero scavate le fosse, è stato completamente stravolto.
Come che sia, Toma ha condotto gli uomini in divisa ed i magistrati nei pressi di una villa con due ingressi, uno sulla via per Campi-Sandonaci, ed un altro su quella per Campi-Cellino San Marco, dove nel '89, venne appunto sepolto, ad una profondità di circa due metri, il cadavere di Luigi Scalinci. Ma nel luogo indicato, a ridosso di alcuni grandi pini, non sarebbe stato recuperato neppure un brandello di carne umana, e neppure un qualche pezzo di stoffa degli indumenti indossati dalla vittima.
E lo stesso risultato, almeno per il momento, avrebbero avuto le ricerche di quel che resta del cadavere di Giovanni Corigliano. Dario Toma ha condotto i giudici della Dda ed i rappresentanti delle forze dell'ordine sulla via che da Campi Salentina conduce a Veglie, ma per quanto abbia tentato di fare, non avrebbe neppure individuato il luogo della sepoltura.
Dopo le prime ricerche, così, le operazioni di recupero sono state abbandonate, in attesa che venga approntato un metodo di ricerca più razionale e sistematico, di quanto non sia stato fatto all'indomani delle rivelazioni del «pentito».
Se Toma abbia indicato agli inquirenti anche i nomi degli assassini di Luigi Scalinci e Giovanni Corigliano, non è dato di sapere. Ma quanto all'omicidio di quest'ultimo, i presunti assassini, i fratelli Tonino e Cosimo D'Agostino, di Veglie, sono stati condannati, in primo grado ed in Appello, all'ergastolo. A differenza di uno dei pentiti della Sacra corona, l'ex capo bastone della Scu, Cosimo Cirfeta, di Salice Salentino, che condannato al carcere a vita in Corte d'assise, è andato invece assolto proprio in Appello. E tanto perché i giudici hanno infine creduto alla sua versione dei fatti: «Di omicidi ne ho commessi diversi - aveva avuto modo di dichiarare il collaboratore di giustizia -, ma non avrei mai potuto volere la morte di Giovanni, perché era il mio migliore amico».
Gli assassini di Luigi Scalinci, invece, non sono stati mai smascherati: ma se il tenore delle rivelazioni di Dario Toma dovesse continuare ad essere quello fin qui tenuto, c'è da credere che non tarderanno molto ad avere un nome ed un volto.

Dalla Gazzetta del Mezzogiorno di Giovedì 6 Settembre 2001

Omicidio Santolla: le verità di Toma

Il boss di Campi Salentina sta svelando agli investigatori i misteri della «mattanza»

Un commando di quattro uomini per uccidere il giovane Romualdo

Dalle dichiarazioni del pentito spuntano due nomi nuovi

Spuntano due nomi nuovi per l'omicidio di Romualdo Santolla. Emergono dalla confessione-fiume di Dario Toma che, da quando ha deciso di collaborare con la giustizia, sta vuotando il sacco facendo luce sugli ultimi anni di attività dei clan della Scu. Ad uccidere il giovane Romualdo, figlio del presunto boss di Veglie Francesco Santolla, sarebbe stato un commando composto da quattro persone. Il ragazzo, appena diciottenne, fu eliminato per colpire il padre, la sera nel maggio del'96: i sicari lo intercettarono in una via di Veglie e lo freddarono a colpi di pistola mentre era in auto con la fidanzata, miracolosamente scampata.
Uno degli assassini, Luigi Vergine di Squinzano, è già in carcere e sta scontando la condanna all'ergastolo confermata dai giudici di Appello. Del gruppo di fuoco avrebbe fatto parte anche Giuseppe Ricciardi di Squinzano, poi ucciso nell'estate del 99 sul lungomare di Casalabate. I nomi degli altri componenti del commando li ha svelati Dario Toma. Ed ora la posizione dei due personaggi, uno di Campi e l'altro di Squinzano, è al vaglio degli investigatori.
«Nel 1998 venne arrestato Tonio Pellegrino per l'omicidio di Romualdo Santolla - spiega Toma - ed io fornii una ventina di milioni per le spese legali. Dopo 15 giorni Ricciardi venne a casa mia mostrandomi una sfoglia di Pellegrino in cui si lamentava di essere stato dimenticato in carcere e che si trovava detenuto per colpa di altri; ma non era certo addebitabile a noi la disattenzione di Pellegrino che in Montenegro si era vantato di aver commesso quell'omicidio con Ciro Carriere».
Furono proprio le dichiarazioni di Carriere, poi pentitosi, ad aprire le porte del carcere di Antonio Pellegrino. «Dopo qualche mese - aggiunge Toma - ricevetti tramite i suoi familiari, una lettera di Pellegrino nella quale mi invitava ad uccidere Ricciardi se questo si fosse rifiutato di confessare la sua responsabilità diretta per l'omicidio di Romualdo Santolla; Pellegrino mi scriveva anche di essere già riuscito a convincere gli altri due killer, mentre Vergine aveva già reso dichiarazioni confessorie». Antonio Pellegrino, condannato in primo grado, è stato assolto in Appello dall'accusa di essere l'assassino di Santolla. Dopo le dichiarazioni di Toma rese ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia, sono stati avviati degli accertamenti sul conto dei due misteriosi sicari.

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