Indice di Indice Generale

Indice Giornali Indice Giornali

Articoli precedenti

Dal Quotidiano di Lecce di Sabato 9 Giugno 2001

L'ex latitante sarebbe protagonista dei più cruenti fatti di sangue degli ultimi anni

Di Emidio e la strage della Grottella: i magistrati affrontano l'argomento

La strage di Copertino prima fra tutte: quei tre vigilantes uccisi urlano vendetta e sin dal primo momento gli inquirenti hanno sospettato che ci fosse Vito Di Emidio alla guida di quel commando che agì con tanta ferocia ed efferatezza. Sarà con ogni probabilità questo il primo punto degli argomenti che il magistrato antimafia Cataldo Motta vorrà affrontare con Di Emidio. Una scaletta dettata soprattutto dalla gravità degli eventi: e quella dell'assalto al furgone
portavalori della Velialpol è una delle vicende più truci avvenute negli ultimi anni in territorio pugliese.

Tre i capitoli della storia criminale del super-boss che vanno esaminati:

le rapine, frequentissime, che avrebbe compiuto per finanziare una latitanza di cinque anni che a occhio e croce gli è costata due miliardi di lire. Soprattutto assalti a istituti di credito, a uffici postali e a gioiellerie. E la banda che aveva messo in piedi pare fosse una delle più efficaci che siano mai circolate sul territorio nazionale perché poteva contare su un armamentario da guerra e sul cinismo e la freddezza dei suoi uomini.

Secondo capitolo, gli omicidi. Alcuni sarebbero frutto di sue decisioni autonome, legate quasi sempre a futili motivi. Un altro scenario inquietante riguarda gli omicidi su commissione: un'ipotesi che è stata ventilata più volte sia in
ambienti investigativi che in quelli malavitosi. E cioè che
chi voleva togliersi dai piedi qualcuno poteva contare su Di
Emidio e sulla sua disponibilità ad agire senza troppi scrupoli. Anche i soldi ricevuti per questi delitti potrebbero essere stati utilizzati pel le spese della latitanza.

Terzo capitolo importante, gli attentati dinamitardi compiuti negli ultimi mesi nel capoluogo brindisino e dietro i quali ci sarebbe la sua mano o almeno la sua mente.

E' questa la linea di lavoro dei magistrati anche se si ha la sensazione che i segreti custoditi da un personaggio del
genere esulino dagli schemi e rischiano di convergere in altre vicende e altre storie nelle quali non si sospetta neanche
il suo coinvolgimento. Come efferati delitti avvenuti in provincia di Lecce negli ultimi anni e dietro i quali potrebbe nascondersi la sua vecchia amicizia con personaggi di spicco della malavita a nord del Leccese.

Di certo la cattura di Vito Di Emidio e la sua successiva decisione di collaborare con la giustizia aprono fronti fino a qualche settimana fa impensabili nella Sacra corona unita e nei clan che operano a cavallo delle due province. Potrebbe essere un ulteriore colpo per il gruppo brindisino della Scu, quello che già negli ultimi anni ha patito le conseguenze di patti scellerati e manie di grandezza, quello che è stato devastato dall'operazione Cerbero condotta dalla Dia di Lecce e dalla catena di pentimenti e di omicidi. Di Emidio conosce di questo gruppo vita, morti e miracoli e potrebbe pregiudicare ulteriormente la situazione del suo vecchio boss, Salvatore Buccarella, l'unico che ancora ha la speranza di lasciare il carcere visto che non è mai stato colpito da condanne pesantissime. Ma saranno necessarie settimane o forse mesi prima di comprendere la reale portata delle dichiarazioni di Di Emidio. E per assistere alla loro trasposizione in ordinanze d'arresto.

di G.D.N.

Dal Quotidiano di Lecce e dalla Gazzetta del Mezzogiorno di Domenica 10 Giugno 2001

Dal Quotidiano di Lecce

Di Emidio confessa e si avvicina la verità sulla strage della Grottella

Avrebbe già confessato di aver guidato la banda di quindici rapinatori che il 6 dicembre uccisero tre vigilantes della Velialpol, ferendone altri tre e fuggendo con tre miliardi di lire. E per dare credito al suo racconto ha fatto trovare le armi e l'esplosivo utilizzati nel sanguinoso assalto di Copertino. Muso contro muso: Cataldo Motta contro Vito Di Emidio, il miglior magistrato antimafia salentino contro il più sanguinario dei suoi avversari. Motta non vuole solo parole, ma soprattutto fatti. E quell'altro raccoglie la sfida perché sembra provare un sottile piacere a ricordare le sue imprese. «Dottò', adesso le racconto cose che neanche si immagina». «Di Emidio, mi dia le prove».

Ed ecco i carabinieri del Ros di Lecce sguinzagliati per casolari con "Bullone" che è una specie di computer e ha una piantina stampata nel cervello perché le carte non se le portava mai dietro. Da un vecchio trullo a una discarica, da un casolare a un muro a secco: gli arsenali della malavita non sono più un'unica gigantesca armeria ma una caccia al tesoro e se per caso ci arrivano prima i carabinieri, pazienza, il grosso non lo troveranno mai.

Tre kalashnikov là, quattro fucili qua, le bombe a mano, un intero pomeriggio di scavi e paziente inventario. Una specie di Pompei della Sacra corona con le armi seppellite ancora bollenti e i cadaveri che spuntano sotto cumuli di detriti e sembrano avere ancora scolpita nella rigidità dei volti la disperazione e il terrore. Giuseppe Scarcia, rapito, torturato e ucciso in mutande; i tre vigilantes di Veglie dilaniati dall'esplosivo per un milione e otto al mese.

Motta glielo ha fatto sudare questo pentimento. Sarebbe stato troppo comodo. Troppo semplice. Troppo scontato. Lo
ha cucinato nella sua stessa acqua, lo ha spinto a calare subito gli assi perché sennò nessuno lo avrebbe salvato dalla prigione. E Di Emidio vuole primeggiare anche da pentito, non può essere uno dei tanti. Un delirio di onnipotenza. E via con i nomi dei suoi complici, di quelli che hanno diviso con lui le imprese e i bottini.

In cima alla lista ci sarebbe uno dei più pericolosi latitanti sardi, Marcello Ladu, esperto di rapimenti e mago dell'esplosivo. Quando otto giorni fa una telefonata anonima annunciò a Brindisi la presenza di un ordigno in ospedale, i carabinieri impacchettarono in fretta e furia Di Emidio trasferendolo in carcere perché Ladu è capace di buttare giù un palazzo intero. E le voci di un possibile pentimento di "Bullone" si erano già diffuse.

Brindisini, leccesi e sardi. I cadaveri dei tre vigilantes erano ancora caldi quando il quadro era già chiaro. Si parlò subito di Di Emidio e del suo amico dinamitardo, finirono in cella due pastori sardi, Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau, accusati di aver aiutato la banda. Brindisini, leccesi e sardi, come per l'omicidio Scarcia. I conti cominciano a tornare.

Ma il faccia a faccia tra Motta e Di Emidio è ancora alle schermaglie iniziali. I mitra e le bombe sono finiti nel carniere e il generale Aldo Piccinno, decano dei periti balistici,dovrà farci gli straordinari per confrontare bossoli e ogive. Le perizie, ed è qui la novità, non serviranno però a scoprire dove quelle armi sono state usate ma semplicemente a confermare le dichiarazioni del pentito. «Fatti, signor Di Emidio, fatti». Lui racconta e i Carabinieri scrivono, Motta si stropiccia la barbetta, impassibile come sempre. "Bullone" parla velocemente e si mangia le parole: scuole finite troppo
presto, un retroterra criminale nato tra i ladri d'auto, una specie di college della malavita perché se non sai rubare una macchina non puoi fare le rapine.

E parla della sua latitanza con spacconeria: le sue visite agli amici, il sabato sera in pizzeria a Tuturano, il giovedì al mercato e qualcuno giura che l'altra domenica fosse con alcuni suoi ragazzi allo stadio di via Del Mare a vedersi il Lecce.

Totò Riina disse: «Io stavo qua, nessuno mi ha cercato». E "Bullone" non si era quasi mai mosso eppure c'era mezzo stato maggiore del Ministero che gli dava la caccia con l'ausilio delle apparecchiature più sofisticate.

Una masseria presa in affitto alla periferia del rione Sant'Elia e pagata come una super-villa a Beverly-Hills (una quindicina di milioni al mese) perché se uno rischia a ospitare un latitante deve pure garantirsi la vecchiaia e magari un buon avvocato. Lui, il sardo e una squadra di ragazzi pronti a tutto. Anche la loro lista è fatta: nome, ruolo e delitto. Qualcuno porta un cognome famoso perché ormai la Sacra corona è quella della seconda generazione e "Bullone" faceva presa soprattutto sui ragazzini: un mito, una specie di monumento all'imprendibilità e alla spregiudicatezza. Sono quelli capaci di accopparti per un colpo di clacson al semaforo o di accoltellarti perché hai difeso la tua ragazza in discoteca.

Per ora non esistono provvedimenti di cattura perché i tempi non sono maturi, ma loro, i ragazzi del boss, hanno cambiato aria. Anche perché quel pentimento muta gli scenari e i pericoli potrebbero non arrivare solo dalle divise dei carabinieri.

E' la prima volta nella storia un po' schizofrenica della Sacra Corona che un collaboratore di giustizia compila i verbali e poi scende in strada per appiccicarci sopra il timbro di autenticità. La famosa verifica viene fatta così in tempo reale con Motta che è un mastino e non molla e quell'altro
che scappa avanti e vorrebbe raccontare nuove imprese, delitti agghiaccianti, rapine clamorose, spiegare altri retroscena, stupire con effetti speciali. «Questo me lo racconta un'altra volta, signor Di Emidio». E arrestare le sue parole è difficile almeno quanto lo è stato mettergli le manette: ha agito per i soldi, ha ucciso per vendetta o solo per antipatia, ma gode, gode oltre ogni ragione, nel raccontare le sue imprese sanguinane. E questo è ancora più agghiacciante.

di Gianmarco Di Napoli


Dalla Gazzetta del Mezzogiorno

Si tenta di fare luce sulla strage di Copertino, dove furono assaltati due furgoni della Velialpol e tre vigilantes uccisi

Anche lui nel commando? Un identikit lo accuserebbe
Ma, al momento, dietro le sbarre ci sono soltanto i due pastori sardi, De Pau e Congiu

Che Vito Di Emidio, arrestato solo pochi giorni fa dai carabinieri mentre su di una Lancia Thema stava percorrendo a fari spenti la Brindisi-Sandonaci, potesse avere a che fare con la strage della «Grottella», gli investigatori lo hanno sospettato sin dal primo momento.
Dallo stesso giorno in cui, era la prima mattina del 6 dicembre del '99, un gruppo composto da sei, forse anche otto banditi, assaltò sulla Copertino-San Donato, i due furgoni della «Velialpol».

Poche ore dopo il «colpo», che fruttò un miliardo in contanti destinato alle banche della zona, ma che provocò anche la morte di Luigi Pulli, Rodolfo Patera, e Raffaele Arnesano, ed il ferimento di altre quattro guardie giurate, attraverso le prime testimonianze, i carabinieri riuscirono a realizzare un primo identikit. Una «traccia» la cui somiglianza con l'allora temuto latitante, parve subito impressionante.
Di lì a qualche giorno, gli investigatori, uomini dell'Arma da una parte, ed agenti di Polizia dall'altra, realizzarono poi sulla scorta delle varie testimonianze, gli identikit ufficiali. E la somiglianza con Di Emidio, divenne ancora più evidente.

Da allora è però trascorso un anno e mezzo, ma gli autori della strage non sono stati ancora scoperti. Né è stato dato seguito ai sospetti che qualcuno, tra Copertino, Veglie e San Donato, potesse aver tradito i vigilantes. Per quel «fattaccio», dietro le sbarre ci sono sì due uomini, i pastori sardi Gianluigi De Pau e Pier Luigi Congiu, ma per loro, l'unica accusa in grado di reggere, nel processo in corso, sembra quella del favoreggiamento.
Le dichiarazioni di «Bullone», al momento soltanto aspirante pentito, dunque, se supportate dalle prove, potranno finalmente colmare questa penosa lacuna e rendere giustizia a chi continua a piangere le tre guardie giurate.

 

Dal Quotidiano di Lecce e dalla Gazzetta del Mezzogiorno di Lunedì 11 Giugno 2001

Dal Quotidiano di Lecce

Il primo verbale del boss: «Fui io a guidare l'assalto»

Dopo le confessioni di Di Emidio, braccati i complici del boss. E' caccia al latitante sardo.

Vito Di Emidio, il boss che ha deciso di collaborare con i magistrati, si è autoaccusato della strage di Copertino, indicando anche i nomi dei complici, che sono braccati. I parenti dei vigilantes uccisi chiedono giustizia e non sono disposti a perdonare: «Quell'uomo, dicono, non merita neppure di vivere». Ieri intanto è stato notificato l'avviso di garanzia a uno dei tre indagati per il delitto Scarcia. Gli altri due sono irreperibili.

Come i briganti che si accampavano sulle montagne e calavano nei paesi all'imbrunire per assaltare e uccidere: accomunati dalla stessa determinazione, dalla voglia di denaro e dal disprezzo della vita umana. Così Vito Di Emidio aveva trovato degna compagnia per la sua sanguinosa latitanza e aveva formato una banda organizzata in modo tale da poter agire con identica efficacia nelle province di Brindisi e di Lecce. Composta dunque da malavitosi salentini che si erano sganciati dalla rigida gerarchia della Sacra corona unita e che avevano creduto nei folli progetti di quest'uomo assetato di denaro e di potere.

Ma la vera arma vincente era l'alleanza con alcuni dei pastori sardi che vivono nelle masserie disseminate nel Salento. Tanti, molti di più di quanto si possa immaginare.
Una specie di ragnatela invisibile alle forze dell'ordine ma
efficientissima sia nella fase di copertura che di appoggio
logistico.

Per creare quest'alleanza decisivo è stato 1'incontro tra Di Emidio e Marcello Ladu, un giovane sardo che ha molti
parenti nel basso Salento e una perfetta conoscenza di questo territorio. Da tempo è finito nel mirino delle forze dell'ordine anche se "solo" con l'accusa di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di droga. Per questo motivo era finora ricercato in Puglia. Tra i due, "Bullone" e il sardo, è nata subito una certa sintonia anche perché - come ha raccontato Di Emidio al procuratore Cataldo Motta - Ladu è persino più feroce e sanguinario di lui. E per di più ha una familiarità con l'esplosivo da far invidia a un artificiere.

Così è nato il sodalizio che in questi anni si è reso protagonista delle imprese più brutali. Come la strage dei Copertino: Di Emidio, nel primo interrogatorio reso a Motta, si è autoaccusato di quell'omicidio, ha fatto il nome di Ladu e di altri sette uomini che parteciparono a quella rapina sanguinosa. I1 piano venne studiato tavolino, le armi rastrellate da quattro depositi creati nelle campagne della provincia di Lecce, Di Emidio si occupava dell'assalto armato, Ladu di far saltare in aria i mezzi blindati dei vigilantes. Gli altri due sardi, gli unici finiti dentro per la strage, avrebbero fatto da basisti aiutando poi i killer nella fuga.

I1 boss pentito ha anche garantito che buona parte delle armi che ha fatto ritrovare ai carabinieri del Ros furono utilizzate nel massacro di Copertino e prima ancora nell'assalto al portavalori alla periferia di Veglie (tre vigilantes feriti) e nella rapina a un gioielliere di San Pietro Vernotico. Sarà
la prova che potrebbe confermare l'attendibilità delle sue dichiarazioni e far scattare le prime ordinanze nei confronti dei complici. Primo fra tutti naturalmente Ladu, che a questo punto diventa il ricercato numero uno nel Salento.

Tra i componenti della banda, ha spiegato Di Emidio, esisteva una sorta di accordo di mutuo soccorso nel senso che nel momento in cui qualcuno aveva da risolvere una questione personale nella propria zona poteva contare sull'appoggio e l'aiuto degli altri. Così Di Emidio si presenterà senza troppi scrupoli all'appuntamento con Cosimo e Fabrizio Toma (padre e figlio), trucidati a Collepasso, e Ladu con alcuni leccesi accompagneranno "Bullone" a sbrigare la sua "faccenda" con Pino Scarcia, lo stalliere di Buccarella, colpevole di aver mancato di rispetto al latitante e quindi torturato e infine ucciso dopo essere stato prelevato a Tuturano.

Anche ieri, nonostante la giornata festiva, la procura distrettuale antimafia di Lecce e i carabinieri del Ros hanno lavorato a tambur battente perché la notizia del pentimento del boss brindisino, il ritrovamento dell'arsenale nelle campagne del Leccese e quello del cadavere alla periferia di Avetrana (Taranto) hanno provocato una tale agitazione negli ambienti malavitosi salentini che si temono fughe di massa (in parte già avvenute, almeno da parte dei soggetti più direttamente legati a Di Emidio) e inquinamento delle prove.

I1 procuratore Cataldo Motta, ma anche gli altri tre magistrati della Dda leccese interessati, hanno un elenco molto dettagliato degli argomenti che intendono toccare con il pentito: rapine in banca, ma pure traffico internazionale di
droga e di armi. Non tralasciando il contrabbando di sigarette, anche se quest'ultimo nel quadro di vicende così
drammatiche potrebbe passare in secondo piano. E alla porta bussano già altre Procure che si occupano di rapine sanguinarie che potrebbero essere state compiute dalla banda salentina: come quella avvenuta all'inizio dell'anno a Treviso e costata la vita a un'altra guardia giurata.

di Gianmarco Di Napoli


Dal Quotidiano di Lecce

«Quell'uomo non merita di vivere»

Il dolore dei parenti delle guardie trucidate

È l'uomo chiave, il bandolo per sbrogliare l'intricata matassa
delle indagini sulla strage della Grottella. Vito Di Emidio, l'ex "primula rossa" della Scu, pronto a collaborare con i magistrati subito dopo l'arresto, sta conducendo gli investigatori verso gli altri autori dell'assalto ai due furgoni portavalori della Velialpol in cui furono trucidati i vigilantes Raffaele Arnesano, Rodolfo Patera e Luigi Pulli, tutti di Veglie. La notizia delle rivelazioni di "Bullone" è giunta anche ai familiari delle vittime, riaccendendo in loro la speranza di una svolta ma, soprattutto, riportandoli indietro alla livida mattina di quel 6 dicembre '99 che sconvolse  irrimediabilmente le loro vite.

I1 tempo sembra essersi fermato tra le mura dell'abitazione di Maria Conte, vedova Patera, al civico 20 di via Bellini. Al telefono risponde il figlioletto, allegro e con voce squillante, tutto preso dai giochi con la sorella minore. Lei invece ha un tono decisamente diverso, assente e consapevole allo stesso tempo. Non è al corrente della vicenda riguardante il boss. Per scelta. "Non so niente e non voglio sapere niente - dice - da quel giorno maledetto non guardo più i notiziari e non leggo i giornali». Non è rassegnazione la sua, ma un atto d'amore verso i due figli, un modo per tenerli lontani il più possibile da quel dolore che lei, invece, si porta dentro come
un fardello opprimente, un pesante compagno di viaggio. «Devono prenderli, quegli assassini» aveva gridato con tutta la sua rabbia di giovane vedova, un giorno, Maria. Oggi forse la sua sete di giustizia potrà essere soddisfatta e così quella del suocero, Antonio Patera, padre di Rodolfo, che aveva dichiarato di avere «piena fiducia negli inquirenti». E' tutto nelle loro mani adesso.

Lo sa bene Gianni Pulli, figlio maggiore di Luigi, carabiniere in servizio presso il comando di Firenze: «Sì, la giustizia, i giudici... - dice -, è tutto da vedere e non mi faccio molte illusioni». Suo padre fu dilaniato dallo Scoppio di un ordigno e da una sventagliata di armi da fuoco, e solo perché stava facendo il suo lavoro, onestamente. «Ho letto dell'arresto di Di Emidio qualche giorno fa - spiega Gianni - ma non sapevo delle ultime dichiarazioni in merito alla strage». La collaborazione di "Bullone" avrà certo un tornaconto: sconto di pena, protezione garantita ai familiari eccetera. È questa l'altra faccia della medaglia. Gianni è un carabiniere, ma è anche il figlio di una vittima innocente; vittima lui stesso, dunque: «È tutto calcolato - sbotta nascondendosi dietro un sorriso ironico - quell'uomo avrà tutto ciò che vuole e soprattutto la vita, che invece è stata tolta a mio padre. Questo non è giusto, dovrebbe restare in carcere fino al resto dei suoi giorni e senza godere di alcun trattamento di riguardo». I1 ragazzo ha due sorelle minori e una madre, Antonietta Casavecchia, annientate dal dolore. Non può dimenticare né perdonare. «L'impeto e il dolore della tragedia - dice il giovane - magari ti portano ad aver veglia di
consumare vendette, ma sono un carabiniere ed innanzitutto devo essere fiero del lavoro svolto dai miei colleghi con la
cattura di Di Emidio».

Le indagini dunque entrano nel vivo, ci sarà da lavorare per gli inquirenti. Ma nell'aria c'è odore di disillusione. «"Bullone" ha abbastanza denaro - dice Gianni Pulli - da pagare profumatamente avvocati eccellenti che lo difendano nella maniera migliore. Denaro guadagnato magari ammazzando gente onesta come mio padre. Ci sono prove a suo carico? Ben venga. Ma chi dice che la mano della giustizia non sarà forzata, magari con atti intimidatori?». Parole comprensibili, quelle del carabiniere, dettate da un
dolore che non da pace ed ha bisogno di sfogo. «L'imputato potrebbe gettare fumo negli occhi - pronostica il ragazzo - ad ogni modo sono molto contento del fatto che sia stato catturato. Certo, ci saranno nuove indagini, accertamenti, spunteranno nomi magari. Spero solo che siano i nomi giusti. È una storia lunga e complessa, di certo ne vedremo delle belle».

di Fabiana Pacella


Dal Quotidiano di Lecce

I commenti dell'Istituto di vigilanza

«Aspettiamo in silenzio il risultato del lavoro degli investigstori»

«Non voglio aggiungere altro almeno per ora», esordisce così il maggiore Giovanni Palma, comandante dell'Istituto di vigilanza Velialpol, all'indomani delle scottanti dichiarazioni del superboss della Scu Vito Di Emidio in merito alla strage della Grottella, quella tragica mattanza in cui persero la vita tre suoi uomini, tre guardie giurate, impegnate con altrettanti colleghi in un servizio di trasporto valori.

«E' prematuro parlare - dichiara secco Palma - è prematuro fare commenti anche perché è ancora tutto da vedere. Lasciamo che l'indagato parli davvero, poi si vedrà», dice. Ma il cerchio sembra stringersi, potrebbero a breve saltare fuori i nomi dei componenti del commando omicida.

«Non è il caso di intralciare il lavoro degli inquirenti con dichiarazioni avventate», conclude.


Dalla Gazzetta del Mezzogiorno

L'ex latitante Di Emidio continua a fare dichiarazioni. Nuovi particolari sull' «assalto» ai due furgoni portavalori della Velialpol

Strage, ora il boss fa i nomi del commando

Tirato in ballo un personaggio del Casaranese. Il ruolo svolto dai due pastori

L'ex latitante della Sacra corona, Vito Di Emidio, continua a fare dichiarazioni, ed uno dopo l'altro, si alzano i veli sulla strage della «Grottella».

Il brindisino arrestato solo pochi giorni fa sulla Brindisi-San Donaci, avrebbe già fatto ai magistrati del pool antimafia della Direzione distrettuale, i primi nomi dei componenti il commando che il 6 dicembre di due anni fa assaltò i due furgoni portavalori della «Velialpol», trucidando a colpi di mitra tre guardie giurate.

Stando alle scarne indiscrezioni trapelate a palazzo di giustizia, dove anche ieri sera il procuratore aggiunto, Cataldo Motta, era al lavoro assieme ai suoi più stretti collaboratori, Vito Di Emidio», detto «Bullone», si sarebbe dapprima autoaccusato di aver partecipato alla strage, e poi avrebbe preso a fare i nomi dei complici. Di certo si sa che avrebbe tirato in ballo un non meglio indicato personaggio della zona di Casarano, comunque un personaggio già noto alle cronache. E poi avrebbe meglio determinato il ruolo svolto nell'organizzazione della sanguinosa rapina che fruttò un miliardo in contanti, dei due giovani pastori sardi Pier Luigi Congiu e Gian Luigi De Pau. Vale a dire gli stessi isolani da tempo stabilitisi a Lizzanello, e che all'indomani della strage della «Grottella» finirono dietro le sbarre. Dapprima con l'accusa di favoreggiamento, e poi con quella ben più grave di concorso in omicidio volontario plurimo e tentato omidicio, per via della quale si trovano già sotto processo.

Gli omicidi sono quelli dei vigilantes Luigi Pulli, Rodolfo Patera e Raffaele Arnesano, ed i tentati omicidi quelli delle altre quattro guardie giurate, che per conto dell'istituto privato di vigilanza «Velialpol», di Veglie, stavano trasportando sulla Copertino-San Donato, il contante destinato alle banche della zona di Galatina.
Quattro nomi, dunque, compreso il suo, a fronte dei dieci, forse anche dodici componenti il commando che entrò in azione con quattro vetture ed un grosso camion, attorno alle ore 8 del mattino. Se Vito Di Emidio non li ha ancora fatti tutti, quei nomi, gli inquirenti coadiuvati dagli investigatori dei carabinieri e della polizia, ritengono sia perché l'ex latitante non risulta ancora inserito ufficialmente nel programma di protezione che lo Stato assicura ai pentiti di mafia.
Una rivelazione a «spizzico», dunque, quella del boss della Scu, che fino ad ora ha però già consentito agli investigatori di scoprire nelle campagne al confine con Avetrana, il cadavere di Giuseppe Scarcia, di Tuturano, di recuperare a Ruffano e Casarano un imponente arsenale, e, ancora, di risolvere l'omicidio di un altro tuturanese, Giovanni Maniglio, ed in ultimo di fare luce sui due duplici omicidi di Fernando D'Aquino e della moglie Barbara Toma, e del padre e del fratello di questa, Cosimo e Fabrizio Toma.
Fatto giungere dai magistrati della Dda nel super carcere leccese, «Bullone» si trova in isolamento, perché al di là dell'ufficialità, la sua posizione appare proprio quella di un pentito di mafia. In ogni caso, di un pentito che con le sue dichiarazioni, sta facendo tremare il mondo della mala.

Dal Quotidiano di Lecce e dalla Gazzetta del Mezzogiorno di MArtedì 12 Giugno 2001

Dal Quotidiano di Lecce

«Ecco i 7 autori della strage della Grottella»

Tre sardi, due brindisini e due salentini. Eccola la squadra della morte raccontata e tratteggiata nei minimi particolari da Vito Di Emidio, boss un tempo spietato, ora gola profonda in virtù di una cattura che ha avuto dell'incredibile: inseguimento della sua Thema, l'uscita di strada della vettura, l'arrivo dei carabinieri e la scoperta di "Bullone", lì ferito in auto, seduto al posto di guida.

Da giorni parla e racconta. E la prima cosa che ha detto è questa: la strage di Copertino, 6 dicembre '99, via della Grottella, due portavalori della Velialpol svaligiati, tre vigilantes uccisi, tre feriti. Ha detto di avervi partecipato, ha detto di aver guidato il commando, nessuna sniffata per darsi coraggio e aumentare la ferocia, tutta inclinazione naturale allo stato brado. Più dell'intelligenza poté la violenza. Marcello Ladu, pericoloso latitante sardo, avrebbe invece provveduto a maneggiare l'esplosivo, a piazzare l'ordigno sotto il secondo blindato per vincerne la resistenza e sfondarlo. Il resto lo hanno fatto gli altri. I due pastori sardi da quello stesso giorno in carcere, per cominciare: Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau, arrestati a poche ore dalla Strage per ricettazione e favoreggiamento e raggiunti qualche settimana dopo da una seconda ordinanza di custodia cautelare per concorso pieno in rapina e omicidio, accusa legata alla mole di lavoro d'indagine compiuta dagli uomini della Squadra mobile della Questura di Lecce e del Reparto operativo del comando provinciale dei carabinieri.

Ora le dichiarazioni di Di Emidio completano quel quadro accusatorio, testimoniano la bontà del lavoro compiuto dagli investigatori e vanno oltre, ricostruendo per intero lo scenario di quella terribile mattinata di fine autunno. Con Ladu, Di Emidio, Congiu e De Pau sarebbero entrati in azione, kalashnikov in mano, anche tre altri personaggi, tutti con scarsissimi precedenti alle spalle: un brindisino e due salentini, uno del Nord Salento e l'altro del Basso Salento, tutti personaggi già individuati e in qualche modo coinvolti dallo stesso Di Emidio in altre vicende da lui ora affidate alla valutazione di quattro magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Lecce.

Una mole impressionante di dichiarazioni. Un fiume in piena, Di Emidio. Ancora ieri è stato ascoltato nel carcere leccese di Borgo San Nicola. A sentirlo, il sostituto procuratore antimafia Giuseppe Capoccia. Più che per altri episodi, "Bullone" è stato sentito perché chiarisca meglio alcuni particolari e fornisca elementi che possano essere utilizzati come riscontro alle sue dichiarazioni. C'è da stilare un'ordinanza di custodia cautelare, quella per la strage
di Copertino, cui viene data priorità assoluta rispetto a qualsiasi altra inchiesta nata dalla collaborazione di "Bullone".

Di Emidio ha già fatto ritrovare l'intero arsenale da cui il giorno della strage furono prese le armi e l'esplosivo usati
per bloccare i furgoni e depredarli del denaro custodito ali'interno, quasi due miliardi di lire. Per essere un riscontro alle sue dichiarazioni, è un riscontro importante. Ma ne servono altri, e non solo perché qualcuno possa essere arrestato, ma perché si possa arrivare ad una sentenza di condanna che non sia traballante.

Su questo si concentra il lavoro di magistrati e investigatori (e alla gestione di questa parte del racconto di Di Emidio sono impegnati i sostituti procuratori Guglielmo Cataldi e Patrizia Ciccarese, pm nel processo in corso ai due sardi, oltre alla Squadra mobile e ai carabinieri del Ros).


Dalla Gazzetta del Mezzogiorno

Ricostruito davanti a investigatori e inquirenti il terribile assalto ai portavalori della Velialpol, nel dicembre del '99

Di Emidio: «In sei nel commando della strage»

Il pentito tira in ballo il latitante sardo Marcello Ladu e due salentini

Né dodici né otto: sarebbero stati soltanto sei i componenti il commando armato di tutto punto, che la mattina del 6 dicembre di due anni fa, assaltò i due furgoni portavalori della «Velialpol», trucidando tre guardie giurate.
Tanto, almeno, avrebbe giurato agli inquirenti che lo stanno interrogando, Vito Di Emidio, l'ex super latitante della Sacra corona, arrestato solo pochi fa, e subito pentitosi.

Al procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia, Cataldo Motta, l'uomo avrebbe anche fatto i nomi dei componenti quel gruppo di fuoco, che agirono con fucili mitragliatori kalashnikov ed esplosivo, utilizzato per sventrare i due furgoni all'interno del quale erano contenuti tre miliardi in contanti, destinati alle banche della zona di Galatina.

Di Emidio si sarebbe dapprima accusato di aver organizzato la spettacolare quanto sanguinaria rapina, e di aver quindi guidato egli stesso l'assalto. Quanto ai complici, l'ex latitante sino a ieri inserito nell'elenco dei cento più pericolosi malviventi del Paese, avrebbe tirato in ballo il sardo trapiantato in una masseria di Nociglia, Marcello Ladu , 28 anni, latitante da due anni perché colpito da un ordine di carcerazione della Procura di Cagliari per associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, e poi gli altri isolani Gian Luigi De Pau e Pier Luigi Congiu, già sotto processo con l'accusa di concorso in omicidio plurimo.
Quanto agli altri due, si tratterebbe di un uomo residente in un paese poco distante da Casarano, e di un giovane residente invece in un paesino alle porte di Lecce. Di questi ultimi si sa che lo stesso Di Emidio avrebbe fatto i loro nomi in ordine ad altri eventi delittuosi verificatisi nel territorio comunale di Brindisi.

Oltre a fare i nomi, il nuovo collaboratore di giustizia, che da un momento all'altro dovrebbe beneficiare del programma di protezione che lo Stato riserva ai pentiti di mafia ed ai loro familiari, avrebbe anche spiegato a magistrato ed investigatori come venne organizzato il «colpo» che fruttò tre miliardi di lire, e le stesse modalità con cui venne messo a segno la mattina attorno alle ore 8 del 6 dicembre '99, sulla strada della «Grottella», che collega Copertino a San Donato.

Nomi e particolari dell'assalto sono coperti dal più stretto riserbo, ed a sentire gli inquirenti, anzi, Vito Di Emidio non solo non sarebbe ancora un collaboratore di giustizia ma starebbe per il momento riferendo soltanto episodi e circostanze ancora tutte da verificare.

Come tutte da verificare sarebbero le accuse nei confronti dei tre uomini indicati come gli assassini del tuturanese Giuseppe Scarcia, il cui cadavere Di Emidio ha fatto rinvenire ai carabinieri nelle campagne al confine con la provincia di Taranto. Si tratta dello stesso latitante Marcello Ladu, che nel Salento è per altro sospettato di aver partecipato ad alcune rapine, di Pasquale Tanisi, 40 anni, di Ruffano e di Antonio Tarantini, 28 anni, di Monteroni. A questi ultimi, assistiti rispettivamente dagli avvocati Alfredo Cardigliano e Massimo Bellini, sono stati notificati altrettanti «avvisi di garanzia», proprio in ordine al sequestro ed all'omidicio di Scarcia. E tanto al fine di rendere possibile l'autopsia, eseguita ieri.

E da verificare, ancora, sono le accuse rivolte contro i non meglio indicati assassini di Fernando D'Aquino e della moglie Barbara Toma, uccisi a Casarano il 5 marzo '98 e del padre e del fratello della donna, Cosimo e Fabrizio Toma, assassinati invece a Collepasso il 18 maggio dello scorso anno.

 

Dal Quotidiano di Lecce di Venerdì 15 Giugno 2001

Dal Quotidiano di Lecce

Un Unico commando per Scarcia e per la Strage?

La notte del 16 maggio scorso furono in quattro a prelevare dalla sua abitazione di Tuturano Giuseppe Scarcia, il fedelissimo di Salvatore Buccarella. Scarcia fu ucciso quasi subito e sepolto sotto delle pietre in una discarica alla periferia di Avetrana. Sarebbero stati in quattro i killer: il boss brindisino Vito Di Emidio; Pasquale Tanisi, di Ruffano, sottoposto a fermo l'altro ieri dalla Squadra mobile di Lecce mentre, con passaporto e valigia, stava per far perdere le sue tracce; Antonio Tarantini, di Copertino, residente a Monteroni, e il latitante sardo Marcello Ladu, che a Nuoro ancora cercano per un processo in cui è imputato per traffico internazionale di droga.

Così ha detto Di Emidio dopo il suo arresto, facendo scattare perquisizioni (che hanno portato al ritrovamento di armi, ora costato il carcere a Tanisi) e avvisi di garanzia per tutti. In più Di Emidio ha fatto trovare un arsenale e ha parlato della strage di poco meno di due anni fa a Copertino, quando furono presi d'assalto due portavalori e uccisi tre vigilantes. Erano in sei quel giorno, e del gruppo potrebbero aver fatto parte alcuni se non tutti dei chiamati in causa per il delitto di Scarcia. I magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Lecce non confermano. Ma se è per questo, neppure smentiscono.

Poco si sa del giovane Marcello Ladu, ora divenuto il super-ricercato nel Salento (la sua residenza ufficiale è Nociglia), dopo la cattura di Di Emidio. E' nato a Villagrande Striasili, in provincia di Nuoro; sfuggì ad un'operazione di polizia in Sardegna per traffico di cocaina, ecstasy e marijuana tra l'Albania, la Puglia, la Sardegna e l'Olanda. E' ritenuto esperto di esplosivi e di rapimenti.

Oggi, intanto, il gip Ercole Aprile interrogherà Tanisi per la conferma o meno del fermo operato dalla polizia e per l'emissione di un ordinanza di custodia cautelare, come chiesto dal sostituto procuratore Giuseppe Capoccia. A difendere l'indagato, l'avvocato Alfredo Cardigliano.

Dalla Gazzetta del Mezzogiorno di Domenica 17 Giugno 2001

Dalla Gazzetta del Mezzogiorno

Gli investigatori stanno verificando le confessioni di Vito Di Emidio. Troppo pochi sei componenti del commando

Strage di Copertino, i conti non tornano
Forse il «pentito» cerca di proteggere alcuni giovani affiliati da poco

Di nomi ne aveva fatti sei, compreso il suo e quello del sardo Marcello Ladu. Ma che la strage della «Grottella» fosse stata davvero opera di sei soli banditi, gli investigatori non lo hanno mai creduto. Nonostante che a confessarlo, fosse stato uno degli autori dell'assalto in cui il 6 dicembre di due anni fa, persero la vita tre guardie giurate, ed altre tre restarono ferite. Vale a dire Vito Di Emidio, il brindisino arrestato dopo sei anni di latitanza, dai carabinieri delle Compagnie di Brindisi e Fasano.

Della strage della «Grottella», dal nome della località che si trova all'uscita di Copertino, sulla provinciale per San Donato , si è parlato anche ieri mattina in Procura, durante il primo incontro ufficiale, che il procuratore aggiunto, Cataldo Motta, ha tenuto sul «pentimento» di Di Emidio.

«Il brindisino è ancora soltanto un "dichiarante" - ha sottolineato il magistrato della Direzione distrettuale antimafia -. E prima di parlare di pentimento, le sue parole dovranno trovare tutte le conferme».
Come dire: «di quello che ci sta dicendo, non possiamo dirvi ancora nulla».

Meno che mai, aggiungiamo, che il commando della strage fosse composto da dieci, forse anche dodici malviventi, entrati in azione a bordo di una Saab, un'Alfa 164, un pick up Nissan ed un camion, fors'anche a bordo di due auto d'appoggio per coprire la fuga.
Troppo pochi, dunque, sei uomini per quattro automezzi, volendo escludere quelli che eventualmente dovevano assicurare il soccorso. Delle due, dunque, l'una. Dopo aver mentito, Vito Di Emidio avrebbe rivelato la verità agli inquirenti, e questi, a loro volta, starebbero mantenendo sulle nuove rivelazioni il più stretto riserbo. Per evitare, come stava per verificarsi con Tanisi, che qualcuno facesse armi e bagagli, riparando chissà dove.
Come che sia, l'impressione è che l'ex latitante stia tentando disperatamente di proteggere altri quattro, fors'anche altri sei killer, che stando a quanto è dato di sapere, sarebbero tutti suoi fedelissimi. Giovani del Brindisino reclutati solo di recente, e che Di Emidio vorrebbe per questo «salvare».
Ma tant'è. «Di Emidio sta fornendo indicazioni sulla strage, sugli arsenali della Sacra corona, sull'omicidio Scarcia - ha aggiunto Motta -. Tutte le sue dichiarazioni, sono state raccolte dal collega Giuseppe Capoccia, che ha realizzato una sorta di "indice" generale degli argomenti, ma ora tutti i magistrati della Dda dovranno intervenire nell'ambito delle rispettive indagini».
«L'appuntamento in vista di eventuali nuove scadenze (l'emissione delle ordinanze di custodia cautelare per strage, omicidi e così via?), dunque, è per dopo la pausa estiva - ha chiarito il procuratore aggiunto -. Anche se è prevedibile che per Di Emidio si renda necessario l'ascolto già durante il processo in corso a carico dei due pastori sardi (Gian Luigi De Pau e Pier Luigi Congiu -ndr) imputati proprio per la strage di Copertino».
Per il pentimento di Vito Di Emidio, dunque, è ora il momento della riflessione, perché nessun errore di percorso dev'essere compiuto, perché il lavoro di carabinieri, polizia e magistratura, non vada disperso.
La cattura del latitante è un risultato di eccezionale portata - ha concluso Motta -. Soprattutto in termini di sicurezza per le genti salentine. Ma adesso, per favore, lasciateci lavorare».

  Indice Giornali Indice Giornali

Indice di Indice Generale