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Dal Quotidiano di Lecce di Giovedì 5  e Venerdì 6 Luglio 2001

Giovedì 5 Luglio

Lunedì prossimo ricomincia il processo per la strage

"Bullone" arriva in aula? Voci, ma nessuna conferma

Il processo per la strage della Grottella ricomincia Lunedì in Corte d'Assise. Due per ora gli imputati: i due giovani pastori sardi Gianluigi Depau e Pierluigi Congiu, arrestati all'inizio solo per favoreggiamento e ricettazione e poi accusati di concorso pieno nell'assalto ai due furgoni della Velialpol, rapina che provocò la morte dei tre vigilantes della Velialpol e il ferimento di altri tre.

Vito Di Emidio, "Bullone" nell'ambiente, sarà in aula? Nella Direzione distrettuale antimafia le opinioni non sono ancora concordi: qualcuno preferirebbe portarlo subito in Corte d'Assise; qualcun altro preferirebbe aspettare, per cristallizzare prima di tutte le dichiarazioni del boss pentito e poi sottoporle ad un accurato lavoro di verifica per evitare per evitare sorprese alla prova dei fatti con il dibattimento.

Così Lunedì prossimo tutto può accadere: qualcuno si aspetta che Di Emidio faccia la sua apparizione, ma per ora una voce simile non trova alcuna conferma.


Venerdì 6 Luglio

Il boss pentito lunedì in Corte d'Assise per testimoniare sulla strage della Grottella

Di Emidio, in aula le sue verità

L'appuntamento è per lunedì. E parlerà, Di Emidio; parlerà in aula, se le indiscrezioni trapelate in queste ore troveranno tutte conferma, quando il presidente della Corte d'assise Elio Romano aprirà la nuova udienza per la strage di Copertino, per quei tre vigilantes spazzati via con esplosivo e kalashnikov e per una rapina che lui, Vito Di Emidio, ha voluto, progettato e compiuto.

A un mese e mezzo dall'inizio della sua collaborazione, il sanguinario boss brindisino farà la sua prima apparizione in pubblico per dire chi partecipò quel 6 dicembre '99 all'assalto ai due furgoni della Velialpol; chi stava con lui, appostato ai margini della strada, armato fino ai denti; chi alla guida di un camion; chi al volante di un fuoristrada, tutti fermi lì ad attendere quegli uomini in viaggio verso il Basso Salento con tre miliardi di lire da distribuire in 18 uffici postali.

Ha già detto con chi uccise Luigi Pulli, Rodolfo Patera e Raffaele Arnesano, le vittime di quella strage. Di Emidio, che tutti nel suo ambiente conoscono come "Bullone", ha fatto già ai magistrati i nomi dei suoi complici. Ci sarebbe stato Marcello Ladu, quel latitante sardo che con lui sembra aver diviso quasi tutte le azioni di sangue che ora il boss s'accolla. E poi i due pastori sardi per i quali questo processo è stato avviato e continua. E infine due leccesi, uno di Ruffano e l'altro di Monteroni.

Eccolo il gruppo di fuoco di quel giorno e di altri ancora. Chissà se ad ascoltare il racconto di "Bullone" lunedì ci saranno in aula i due unici imputati del processo, Pierluigi Congiu e Gianluigi Depau, i soli fin qui finiti in manette per la strage, arrestati all'inizio solo per favoreggiamento e ricettazione di una delle auto usate dal commando e poi accusati anche di concorso in rapina e omicidio plurimo. Non hanno partecipato ad un'udienza finora.

L'arrivo di "Bullone" dar una sterzata al processo, fin qui costruito e alimentato indizio su indizio, mai una prova che da sola si sia rilevata decisiva, schiacciante. I riscontri alle sue dichiarazioni determineranno le sorti delle persone da lui chiamate in causa. In questi 40 giorni di racconti incessanti Di Emidio s'è rivelato collaboratore attendibile: ha fatto trovare depositi di armi; ha consentito il recupero del cadavere di un uomo scomparso; ha indicato i nomi di chi era con lui, nella lancia Thema, la sera in cui a fine maggio venne intercettato dai carabinieri, inseguito ed arrestato dopo un pauroso incidente stradale,  lui rimasto ferito al volante e i due amici che lo accompagnavano lesti a saltar fuori dall'abitacolo e darsela a gambe.

E' un fiume in piena: s'è addossato anche 20 omicidi. Ora si tratta di "impacchettare" - e bene - i suoi complici.

Dal Quotidiano di Lecce e dalla Gazzetta del Mezzogiorno di Domenica 8 Luglio 2001

Quotidiano di Lecce 8 Luglio 2001

Il raccapricciante film dell'assalto al portavalori della Velialpol nel racconto del pentito Vito Di Emidio

Presi gli autori della Strage di Copertino

Antonio Tarantini, soprannominato "Kamikaze" si lancia con il camion contro il primo furgone, Pierluigi Congiu chiude la via della fuga con la sua Saab al secondo portavalori che aveva innestato la retromarcia. I1 sardo comincia a sparare contro i vigilantes e un secondo dopo gli si affiancano Gianluigi De Pau, Marcello Ladu, Pasquale Tanisi e lo stesso Tarantini. Vito Di Emidio è attaccato al portellone del primo furgone e inizia a scaricare i sacchi azzurri con il denaro. Il più anziano dei vigilantes ha il corpo schiacciato tra il sedile e il cruscotto dopo lo scontro con il camion; una seconda guardia, quella al volante, è stordita dall'impatto mentre la terza è a terra, sempre all'interno del furgone. Mentre Di Emidio scarica i sacchi i colpi continuano a riecheggiare. Tanisi appende con un gancio una bomba di due chili al portellone del secondo furgone. Esplosione. I corpi delle guardie sono dilaniati: sul pavimento del furgone un vigilante è decapitato, un altro ha il volto insanguinato e dondola il capo stordito, il terzo alla guida dà pochi segnali di vita. I1 portellone non si è aperto, Di Emidio tenta di armeggiare con i comandi interni ma non ci riesce. Qualcuno pensa di far
esplodere altre due bombe ma alla fine decidono di scappare.

I1 film della strage della Grottella viene riscritto con dovizia di particolari da Vito Di Emidio. Una memoria fotografica eccezionale, un gusto macabro per gli aspetti più sanguinari. E il quadro è completo con qualche interrogativo naturale: ma possibile che "Bullone" non abbia sparato neanche
un colpo? Possibile che il lavoro di macelleria sia spettato solo agli altri? Sul team di killer però gli inquirenti ormai non
nutrono più dubbi e ieri mattina sono scattate le manette in
un'operazione condotta congiuntamente dalla Squadra mobile (diretta dal vicequestore Paolo Leaci) e dai carabinieri del Ros di Lecce (comandato dal capitano Vincenzo Molinese).

L'ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip Vincenzo Scardia su richiesta del pm Guglielmo Cataldi e Patrizia Ciccarese, riguarda due leccesi, Pasquale Tanisi e
Antonio Tarantini, e due sardi, Pierluigi Congiu e Marcello Ladu. Dei quattro solo Tarantini era libero: Tanisi era stato catturato nei giorni scorsi dopo il pentimento di Di Emidio, Congiu è in carcere dal dicembre 1999 per la strage di Copertino. Ladu è invece latitante. Nessun provvedimento d'arresto per il boss pentito.

La banda, oltre al drammatico assalto di Copertino, si sarebbe resa protagonista di altre due rapine: quella a un furgone della Velialpol a Leverano (2 novembre 1999) e quella, pochi giorni dopo, presso la gioielleria Valzano di San Pietro Vernotico.

La strage della Grottella. Trecentoquindici milioni di lire a testa: questo fu il bottino per l'uccisione di Luigi Pulli, Rodolfo Patera e Raffaele Arnesano. Tarantini fu costretto a un ciclo di fisioterapia perché speronando il primo furgone e uccidendo sul colpo Pulli lamentò un colpo di frusta. Ladu zoppicò per qualche giorno per via di una storta. Per il colpo non furono telefonini cellulari ma solo ricetrasmittenti, alcune delle quali sintonizzate sulle frequenze delle forze dell'ordine.

Antonio Tarantini studiò il percorso che avrebbero compiuto i due furgoni della Velialpol. Era stato lui ad accorgersi che spesso compivano il viaggio insieme: un bocconcino prelibato dopo il successo della rapina di Leverano. I1 giorno della rapina Di Emidio, Ladu, Tarantini e Tanisi dormirono in un'Alfa 164 parcheggiata nelle campagne di San Pietro in Lama. Alle quattro del mattino l'appuntamento
con gli altri due sardi. Cinque kalashnikov, cinque fucili automatici calibro 12 a canne mozzate, due pistole calibro 9, sei bombe a mano provenienti dal Montenegro e tre bombe artigianali. Di Emidio era nella 164 con Tanisi e De Pau; Ladu era sulla jeep, Congiu sulla Saab e Tarantini sul camion. Durante la fuga il fuoristrada e il mezzo pesante furono abbandonati e poi anche la Saab. Dopo il colpo si rifugiarono presso la masseria Santa Chiara di Martano dove Ladu aveva preparato un nascondiglio. Tutti tranne Congiu e De Pau che avevano appuntamenti per questioni legati ai loro affari.

L'Alfa 164 venne smontata, le armi nascoste. Grazie a una
radio sintonizzata sulle frequenze della polizia scoprirono che quella masseria stava per essere perquisita. Scapparono attraverso un campo di girasoli e si fermarono a 300 metri dalla masseria. Poi percorsero ancora qualche chilometro a piedi sino a un trullo abbandonato finché non rubarono una Panda 750 e tornarono nella zona della masseria dove incrociarono 1'Alfa 156 dei carabinieri che avevano appena arrestato Congiu e De Pau.

Rapina di Leverano. Fu la prova generale di quello che sarebbe avvenuto un mese dopo a Copertino. Tarantino effettuò il solito giro di perlustrazione, Di Emidio e Ladu scelsero di inserire nella banda anche Congiu e Fabio Maggio. Quest'ultimo, un giovane brindisino da tempo vicino al superlatitante, è stato recentemente arrestato per aver compiuto una rapina nel Barese proprio insieme a Di Emidio. Per l'assalto di Leverano invece gli inquirenti non ne hanno chiesto l'arresto non avendo trovato elementi validi a riscontro delle dichiarazioni di "Bullone". Maggio - secondo Di Emidio - avrebbe esitato molto dimostrando nervosimo tanto che per l'assalto di Veglie fu deciso di sostituirlo.

Tarantini si mise alla guida di un autocarro, seguito da un
furgone condotto da Congiu (con a fianco Maggio), da una
Fiat Tipo guidata da Ladu e dalla 164 di Di Emidio. I1 portavalori fu bloccato sulla strada che da Veglie porta a Leverano. Le guardie furono fatte uscire: una era stesa per terra e l'altra, in piedi, si lamentava per il dolore, la terza era nei pressi di un muretto completamente impaurita. Di Emidio
sparò per terra alcune raffiche di kalashikov per convincere il vigilante ad aprire il portellone: erano tutti con i passamontagna tranne lui. Scaricarono il denaro e fuggirono con la Tipo e la 164. Qualche ora dopo erano sulla terrazza di una villetta in costruzione a spartirsi il denaro, circa duecento milioni di lire.

La rapina di San Pietro. In questo caso fu Di Emidio a scegliere l'obiettivo: la gioielleria Valzano, sulla strada per Brindisi, a San Pietro. Fu sufficiente una sola auto: la solita 164, e quattro uomini: oltre a "Bullone", Ladu, Tarantini e Congiu. Tarantini rubò un camion e lo usò come ariete sfondando l'ingresso della gioiellena. Dopo di lui entrò anche Di Emidio. Erano armati di pistola e afferrarono la figlia del titolare. Svuotarono la cassaforte portando via un sacco e mezzo di gioielli. All'uscita incrociarono una pattuglia dei carabinieri contro la quale esplosero alcuni colpi di kalashnikov. Fuggirono verso Torre San Gennaro. Poco dopo il bottino della rapina venne consegnato a Tarantini che provvide a rivenderlo ad alcune gioiellerie del Leccese ricavando soltanto 27 milioni di lire che vennero divise in
quattro parti.

Domani mattina cominciano gli interrogatori in carcere. A difendere gli indagati, gli avvocati Massimo Bellini, Elvia Belmonte e Alfredo Cardigliano.

di GianMarco Di Napoli

Tra il boss brindisino e il sardo un patto d'acciaio, poi le rapine

Mancavano i carabinieri della compagnia di Brindisi, ieri mattina, alla conferenza-stampa nello studio del procuratore Cataldo Motta. Eppure la svolta alle indagini sulla strage di Copertino parte proprio dalla cattura di Vito Di Emidio avvenuta alle 22.45 del 28 maggio, pochi chilometri lontano da Brindisi. Neanche il tempo di riprendersi dalle ferite che
il temuto e sanguinano boss si dichiara pronto a collaborare
con la giustizia. Si autoaccusa subito di venti omicidi e racconta anche della strage di Copertino. I magistrati della procura di Lecce hanno fatto i diavoli a quattro per non essere costretti a portarlo in aula domani mattina alla ripresa del processo per la strage di Copertino (alla sbarra finora c'erano solo i sardi Congiu e De Padu). E ci sono riusciti serrando i tempi degli interrogatori e delle verifiche alle dichiarazioni, fornendo al gip una serie di elementi-chiave per l'emissione di altre quattro ordinanze d'arresto. Agli inquirenti Di Emidio ha spiegato che fu Ladu, navigato bandito emigrato in Puglia dalla Sardegna (la sorella è in carcere a Lecce per traffico di droga e lui fuggì prima dell'arresto), a proporgli di mettere su una banda che assaltasse i furgoni. Una tecnica tipicamente sarda quella
dell'agguato lungo la strada. Di Emidio accettò e vennero scelti gli altri componenti. Pochi, molto di meno di quanto si supponesse, in quanto né Ladu né Di Emidio si fidano di molte persone. Due sardi, perché quelli non parlano neanche se li torturi, due leccesi di cui uno specializzato nella guida spericolata dei camion da utilizzare come arieti (Tarantini) e l'altro esperto di esplosivi per far saltare in aria i furgoni. Di Emidio e Ladu dividono il bastone del comando, senza liti, senza una discussione. Gli altri eseguono ma poi la spartizione del bottino avviene sempre in maniera equa. Ai capi spetta la stessa identica somma degli altri complici. Un team con le sue leggi precise, che evita accuratamente di usare i telefonini (facilmente intercettabili) e che fa largo uso di radio ricetrasmittenti. E la notte prima del colpo tutti a dormire nella stessa auto per dividere la tensione e l'eccitazione. Niente droghe, almeno questo sostiene Di Emidio. Niente alcol.

Di Emidio ricorda tutto come un computer e questa sua capacità funge già da verifica per quello che racconta. Emergono infatti particolari che nessuno conosceva e che effettivamente risultano essere reali: circostanze di luogo, di tempo e di persone in cui sono avvenuti i furti dei veicoli utilizzati per le rapine, la cromatura di una delle pistole sottratte ai vigilantes, il tentativo di furto di un autocarro ad Avetrana mai denunciato dalla vittima, la riparazione di un camion presso un'autofficina, il furto di una Fiat Panda due giorni dopo la sanguinosa rapina di Copertino.

Sull'attendibilità di quanto Di Emidio ha raccontato gli inquirenti non hanno davvero dubbi. Gli unici interrogativi riguardano la possibilità che il pentito abbia nascosto qualche altro nome o abbia cercato di ammorbidire la sua posizione. Ma ieri mattina i magistrati della procura di Lecce lo hanno spiegato a chiare lettere: Di Emidio ha deciso di collaborare sperando un giorno di lasciare il carcere. E dunque ogni sua dichiarazione dovrà essere soppesata.
Per le altre accuse, quelle relative agli omicidi e ad altri fatti delittuosi se ne riparlerà dopo l'estate quando gli interrogatori e i riscontri saranno completati.

di G.D.N.

Gli amici dei «mesagnesi»

Prologo comico della rapina di Copertino.

Di Emidio, Tanisi, Tarantini e Ladu cercano un autocarro da utilizzare per assaltare i furgoni della Velialpol. Si fermano ad Avetrana, puntano un capannone, forzano un camion, ma arrivano i proprietari a bordo di una Fiat Panda. Nel corso della discussione Di Emidio e soci dicono di essere mesagnesi e quegli altri iniziano a urlare di essere amici di alcuni mesagnesi che avevano conosciuto in carcere. A questo punto il pestaggio si interrompe, i derubati vengono rimessi in piedi e ripuliti. Così Di Emidio chiede loro se in zona esista qualche altro camion da rubare e quelli spiegano che poco lontano ce n'è uno dentro ad un altro capannone.

Domani riprenderà il processo

Il processo per la strage di Copertino riprenderà giusto domani mattina. L'appuntamento è in Corte d'assise, a Lecce, davanti al presidente Elio Romano. Due soli gli imputati a giudizio: Pierluigi Congiu e Gianlugi De Pau, finiti in manette lo stesso giorno in cui avvenne la strage, a poche ore di distanza dall'assalto ai due furgoni della Velialpol, costato la vita a tre guardie giurate (mentre altre tre rimasero ferite). Riprenderà, ma non verrà fatto molto. Vito Di Emidio non comparirà in aula, cosa che invece accadrà in una delle prossime udienze. Al suo posto entreranno nel dibattimento i verbali delle sue dichiarazioni che hanno portato ieri all'arresto della restante parte del gruppo armato entrato in azione la mattina del 6 dicembre '99. Comunque gli avvocati chiederanno termine a difesa e il processo verrà aggiornato per consentire ai legali di Congiu e De Pau di studiare le nuove carte presentate dalla Direzione distrettuale antimafia.


Gazzetta del Mezzogiorno 8 Luglio 2001

Polizia e carabinieri trovano riscontri alle dichiarazioni del pentito. 

Di Emidio fa i nomi degli autori della tragica rapina

LECCE -  Carabinieri e polizia hanno già trovato i riscontri, ed a distanza di un mese dalle prime parole di pentimento, l'ex latitante della Sacra corona, Vito Di Emidio, detto «Bullone», alza il velo su tre sanguinose rapine. Delle quali si autoaccusa, tirando in ballo sei complici.
E sei ordinanze di custodia cautelare, sono state emesse a carico degli autori della strage della Grottella (tre guardie giurate uccise la mattina del 6 dicembre '99, bottino un miliardo ed 800 milioni); del «colpo» con sparatoria tra la folla messo a segno il 26 novembre dello stesso anno ai danni della gioielleria «Valzano», di San Pietro Vernotico, e dell'altra rapina, targata 2 novembre, sempre del '99, ad un furgone portavalori assaltato nei pressi di Leverano (tre vigilantes feriti, bottino un miliardo).
Capeggiato dallo stesso Di Emidio, il «gruppo di fuoco» risulta composto dal sardo domiciliato a Nociglia, Marcello Ladu, uccel di bosco da mesi; dagli altri isolani trapiantati nel Salento, Gian Luigi De Pau e Pier Luigi Congiu (i due sono già alla sbarra per la strage della Grottella: il processo a loro carico riprenderà giusto domani); da Pasquale Luigi Tanisi, di Ruffano e da Antonio Tarantini, di Monteroni.
Sono tutti accusati di aver assaltato i due furgoni portavalori dell'istituto di vigilanza «Velialpol», di Veglie: un assalto messo a punto con un camion guidato a tutta velocità da Tarantini, detto kamikaze, un fuoristrada e due vetture, una Saab ed un'Alfa 164, ordigni artigianali confezionati da Tanisi e una pioggia di fuoco sputato da kalashnikov, pistole e perfino bombe a mano.
A parte Tanisi e De Pau, gli stessi sono accusati anche delle altre due rapine. Nel caso dell'assalto all'altro furgone portavalori, anch'esso della «Velialpol», Di Emidio ha tirato in ballo anche il brindisino come lui Fabio Maggio, già detenuto. Ma per quest'ultimo non sono stati trovati riscontri, e pertanto nei suoi confronti l'ordinanza di custodia cautelare non è stata neppure richiesta.
Fin qui le tre sanguinose rapine. Ma Di Emidio si è autoaccusato di altri quindici omicidi, di altre rapine, ed ancora di estorsioni ed attentati. Per sapere chi altri ha tirato in ballo, però, bisognerà attendere la fine dell'estate.


Toti Bellone

Squarci di luce e di verità sull'assalto che costò la vita a tre poveri vigilantes. Le confessioni di Vito Di Emidio

In sei dovranno fare i conti con il massacro

Cinque arresti e un latitante tra Nociglia, Melendugno, Ruffano e Monteroni

«Per la rapina ai due furgoni portavalori portammo cinque kalashnikov, altri cinque fucili automatici calibro 12 a canne mozzate, ed un paio di pistole calibro 9, sei o sette bombe a mano tipo ananas provenienti dal Montenegro, che io stesso avevo introdotto all'epoca della mia latitanza in quei posti. Avevamo anche tre bombe artigianali. Quando il primo furgone è giunto a tiro, uno di noi si è lanciato contro con il camion e gli altri hanno cominciato a sparare contro le guardie giurate. Ricordo di avere visto una guardia più anziana già con il corpo schiacciato tra cruscotto e sedile. Ad un certo punto è esplosa una bomba di due chili: ho visto i corpi dilaniati delle guardie ed ho notato che ad uno, posto sul pavimento del furgone, mancava la testa, mentre un altro aveva il volto insanguinato e dondolava il capo stordito, ed il terzo alla guida dava pochi segni di vita. Un furgone non si apriva e non potevamo prendere tutti i soldi: gli altri volevano posizionare le altre due bombe ma io ho preferito andar via».
E' solo una parte del raccapricciante racconto - fin qui relativo solo alla strage della Grottella - che l'ex latitante della Sacra corona, Vito Di Emidio, detto «Bullone», ha fatto lo scorso 8 giugno agli investigatori che stanno raccogliendo le dichiarazioni del pentimento avvenuto subito dopo la cattura, risalente a poco più di un mese fa.
Al procuratore aggiunto dell'Antimafia, Cataldo Motta, «Bullone» ha parlato chiaro: «Mi pento perché voglio stare in carcere quanto meno tempo possibile».
Ecco allora la verità sull'assalto del 6 dicembre del '99 ai due furgoni della «Velialpol», in cui vennero trucidati i vigilantes Luigi Pulli, Rodolfo Patera e Raffaele Arnesano, ma anche come andò il 2 novembre dello stesso anno a Leverano, quando venne assaltato un altro furgone portavalori.
Quel «colpo» fruttò quasi un miliardo, e tre guardie giurate (Augusto Tarantino, Aldo Nuzzo ed Andrea Pati) restarono ferite.
Di Emidio ha parlato anche di un'altra rapina: quella messa a segno il 26 novembre, sempre del '99, a San Pietro Vernotico, ai danni della gioielleria Valzano». Subito dopo l'assalto, giunsero i carabinieri, ed il commando prese a sparare all'impazzata tra la folla.
Riempimmo due sacchi di ori - ha raccontato Di Emidio -, ma quando li vendemmo, dalle parti di Monteroni e Carmiano, ricavammo solo 27 milioni».
Con il pentimento sono venuti anche i primi arresti. I pubblici ministeri Guglielmo Cataldi e Patrizia Ciccarese, hanno chiesto ed ottenuto dal giudice delle indagini preliminari, Vincenzo Scardìa, sei ordinanze di custodia cautelare.
A Di Emidio, al suo luogotenente Pasquale Luigi Tanisi, di Ruffano ed ai cugini sardi domiciliati a Melendugno, Gian Luigi De Pau e Pier Luigi Congiu (i due sono già sotto processo per la strage della Grottella), sono state notificate in carcere. Quanto all'altro componente il commando, Marcello Ladu, domiciliato a Nociglia, l'uomo è da tempo latitante. L'unico del gruppo a piede libero, Antonio Tanisi, di Monteroni, è stato prelevato ieri mattina dalla sua abitazione.
Tutti - tranne il latitante che dovrebbe aver già trovato riparo in Sardegna - verranno interrogati domani: i salentini Tanisi e Tarantini, sono assistiti rispettivamente dagli avvocati Alfredo Cardigliano e Massimo Bellini.
E' da sottolineare che le dichiarazioni di «Bullone», costituiscono la conferma di quanto gli investigatori (gli agenti della Squadra mobile e della Sezione criminalità organizzata della Questura, ed i carabinieri del Nucleo operativo e del Raggruppamento operativo speciale dell'Arma), ebbero a supporre all'indomani della strage. E cioè, che l'assalto era opera di Di Emidio, e che del «gruppo di fuoco» avevano fatto parte anche i sardi residenti e radicatisi in provincia di Lecce.

Dal Quotidiano di Lecce di Lunedì 9 Luglio 2001

Dopo l'arresto dell'intero commando assassino, parlano le vedove dei vigilantes trucidati.

«Il nostro lutto non passa, almeno restino in carcere»

Tutta la banda è dentro. Gli autori dell'assalto ai due furgoni portavalori della Velialpol, noto come "Strage della Grottella" sono stati consegnati alla giustizia dopo le scottanti rivelazioni dell'ex primula rossa della Scu, Vito Di Emidio. C'era anche lui, "Bullone" quella mattina, sulla Copertino-San Donato, a fare ferro e fuoco. All'appello
ora manca solo il sardo Marcello Ladu, latitante. La notizia
della cattura dei componenti del commando sanguinario è entrata, prepotente, nelle case dei tre vigilantes - Raffaele Arnesano, Rodolfo Patera e Luigi Pulli - trucidati il 6 dicembre '99. È entrata come un uragano, ha squarciato quella calma apparente, protettiva e irrespirabile insieme.

«Non voglio dire niente», esordisce con voce sommessa Anna Paola Pulli, una delle figlie di Luigi. Le manca il padre. Lo si avverte nel dolore che accompagna i suoi 25 anni. «Li hanno presi, quelli lì... - riflette - ma cosa gli faranno mai? Sì, sono contenta per gli sviluppi nelle indagini, ma ciò che è fatto è fatto. Papà non tornerà mai più a casa e per me conta solo questo». I1 futuro? Non ci pensa poi più di tanto, Anna Paola. «Starò a guardare - dice - spero solo che gli arrestati siano davvero colpevoli della strage. Per il resto, sono sicura che la giustizia degli uomini non li punirà mai abbastanza». La paura, per la ragazza come per gli altri familiari delle tre guardie giurate è di vedere un giorno, quegli assassini di nuovo in libertà. Dolore, rabbia e sete di giustizia nei loro animi. Comprensibili e degni di rispetto.

Gianni Pulli, figlio maggiore di Luigi, carabiniere in servizio a Firenze, ha telefonato di prima mattina, l'altro giorno, a casa, giù a Veglie. Aveva sentito da qualche parte che gli assassini erano dentro ed ha chiesto alla sorella di acquistare il giornale. «Devo sapere tutto - conferma Gianni - ma penso
che potrebbero anche esserci altre persone coinvolte in quell'assalto. Gli inquirenti faranno di certo il loro dovere, per ora sono davvero soddisfatto». Un sorriso, quasi beffardo, maschera tanti mesi di sofferenza e le preoccupazioni per la madre, Antonietta Casavecchia, che
non ha mai più sorriso da quel giorno e si è da poco ripresa da una forma di depressione che l'ha colpita lo scorso inverno. «Ho sempre pensato che Congiu e De Pau - i due sardi arrestati subito dopo la mattanza, ndr - fossero solo capri espiaton - aggiunge il giovane carabiniere, invece mi ero sbagliato. Fortunatamente non furono rilasciati, come si temeva all'inizio. Fortunatamente...». I1 giovane si ferma un attimo, ammette la sfiducia dei primi tempi. «Si sa come vanno queste cose - dice - il tempo passa, i ricordi scemano... Pensavo che non avrei mai visto quei malfattori con le manette ai polsi. Da una parte però è giusto tenere presente che il loro arresto non riparerà mai il danno che hanno fatto». Nella malcelata voglia di vendetta c'è il desiderio che gli assassini restino per sempre in carcere. Lo si evince dalle parole ferme e strozzate di Maria Conte, giovane vedova di Rodolfo Patera e madre di due bambini. «Non si torna indietro - batte i pugni la donna - per questo mi sono imposto di non informarmi, di non sapere, mai... Camminando per strada mi capita spesso di notare le locandine dei giornali fuori dalle edicole e allora alzo il passo
perchè ho paura. Lo faccio di proposito». Degli ultimi sviluppi sulla vicenda ha sentito dire qualcosa, Maria, ed è contenta, in parte. «Ho solo chiesto se ci fossero nostri compaesani tra gli arrestati, poi non mi interessa altro. Perchè si riapre ogni volta una piaga, che è mia e solo mia e nessuno può capire. I colpevoli stanno comunque meglio di me. Loro sono vivi, mio marito no».

Romina Iacovelli, invece, vedova di Raffaele Arnesano, ha rotto in qualche modo il suo silenzio. Ha deciso di sapere, di capire. «Romina legge i giornali e guarda i notiziari, adesso - spiega Maria Conte, che la conosce bene - parla con i legali, lei ce la fa.». Non riesce ad andare avanti, non può.

Tre famiglie diverse in uno stesso paese, un unico dramma
ad accomunarle, per sempre. Ora per loro un nuovo spiraglio, nuove aspettative. I1 coraggio e il bisogno di ricominciare, si spera, da capo.

di Fabiana Pacella

Dal Quotidiano di Lecce e dalla Gazzetta del Mezzogiorno di Martedì 10 Luglio 2001

Quotidiano di Lecce 10 Luglio 2001

Strage, a settembre in aula la verità del superpentito

Per la strage di Copertino processo rinviato: se ne riparlerà il 17 settembre. L'ha chiesto il pubblico ministero Patrizia Ciccarese, l'ha accordato il presidente della Corte d'assise Elio Romano. Motivo: l'arrivo in aula del boss brindisino, fresco di pentimento, Vito Di Emidio.

Sarà lui a raccontare dal vivo le fasi drammatiche di quell'avvenimento terribile: era il 6 dicembre '99, un commando assassino assaltò due furgoni della Velialpol con kalashnikov e esplosivi. Alla fine furono tre vigilantes uccisi e tre feriti, oltre ad un bottino di un miliardo e ottocento milioni di lire. Per quei fatti sono sottoprocesso due pastori sardi, Gianluigi De Pau e Pierluigi Congiu. Ma da sabato è in galera anche il resto del gruppo, acciuffato proprio grazie alle dichiarazioni di Di Emidio, che guidò di persona quell'assalto armato ai blindati portavalori: si tratta di Pasquale Tanisi di Ruffano, e Antonio Tarantini. resta da ammanettare solo l'ultimo componente del gruppo, quel Marcello Ladu, anche lui sardo, ricercato da tempo per altri fatti e ora anche per questi. Nell'ordinanza di custodia cautelare eseguita sabato ricompare anche il nome di Congiu, accusato di aver partecipato con Ladu, Tarantini, Di Emidio e il brindisino Fabio Maggio all'assalto che precedette di un mese la strage: quello del 2 novembre, quando tra Veglie e Leverano fu bloccato un altro furgone Velialpol. In quel caso tre i feriti e poco più di un miliardo il bottino.

Poco prima che il processo venisse rinviato, ieri in carcere sono stati sottoposti ad interrogatorio proprio Congiu, Tanisi e Tarantini. Ad interrogarli, il gip Vincenzo Scardia, che ha emesso l'ordinanza di custodia cautelare su richiesta dei sostituti procuratori Patrizia Ciccarese e Guglielmo Cataldi. Difesi dagli avvocati Elvia Belmonte, Massimo Bellini e Alfredo Cardigliano, tutti e tre gli indagati si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.

A fronte di quest'atteggiamento di chiusura, ieri in Assise i due pastori sardi imputati della strage (vennero arrestati lo stesso giorno dell'assalto, dopo poche ore) hanno fatto per la prima volta la loro apparizione in aula. A sentire i difensori (con l'avvocato Belmonte, anche i legali Pasquale Ramazzotti e Andrea Moreno), un atteggiamento per dimostrare sicurezza sulla propria innocenza anche di fronte alle nuove pesanti accuse del boss pentito.


Gazzetta del Mezzogiorno 10 Luglio 2001

Ieri l'interrogatorio davanti al gip

Strage della Grottella, Tacciono i sospettati

Neppure una parola sulla strage di Copertino (tre guardie giurate uccise, bottino due miliardi), né sull'assalto al furgone portavalori della «Velialpol» (tre guardie ferite, bottino 800 milioni), e tantomeno sulla rapina alla gioielleria «Valzano», di San Pietro Vernotico (sparatoria con la polizia, bottino due sacchi di preziosi venduti ai ricettatori di Monteroni e Carmiano per 27 milioni).
Pasquale Tanisi, 38 anni, di Ruffano (assistito dall'avvocato Alfredo Cardigliano); Antonio Tarantini, 27, di Monteroni (avvocato Massimo Bellini), e Pierluigi Congiu, 26, di Melendugno (avvocato Andrea Moreno, del foro di Bari), si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.
L'interrogatorio reso ieri mattina al giudice delle indagini preliminari, Vincenzo Scardìa, così, si è aperto e chiuso nel volgere di una manciata di minuti.
Unitamente al pentito della Sacra Corona, Vito Di Emidio, al latitante sardo Marcello Ladu, di Nociglia, ed all'altro isolano di Melendugno, Gian Luigi De Pau, Tanisi, Tarantini e Congiu, sono accusati di aver fatto parte del commando che il 6 dicembre del '99, assaltò i due furgoni portavalori della «Velialpol», trucidando i tre vigilantes. Ma anche, ora con l'assenza di uno, ora con l'assenza dell'altro, gli altri due «colpi» di cui s'è detto.
Che il «gruppo di fuoco» agisse e ragionasse con scaltrezza, gli investigatori lo avevano capito analizzando le modalità con cui vennero portati i tre sanguinosi «colpi»; poi, con le dichiarazioni del capo bastone della Scu noto col soprannome di «Bullone», le considerazioni sono diventate certezze.
«Badavamo a non usare mai due volte la stessa arma - ha detto tra l'altro Di Emidio -. Io stesso indossavo sempre un paio di guanti, ed al posto dei cellulari, utilizzavano le radio ricetrasmittenti».
Ma che ieri nessuno dovesse aprire bocca, neppure per dichiararsi innocente o per riferire un qualche alibi, forse neppure il giudice se lo aspettava. Meno che mai i magistrati titolari delle inchieste sulle tre rapine: il procuratore aggiunto Cataldo Motta ed i sostituti Guglielmo Cataldi e Patrizia Ciccarese.
Nella stessa mattinata, così, l'attenzione si è accentrata sulla sesta udienza che, per la sola strage di Copertino, vede già sotto processo i cognati sardi Congiu e De Pau. L'udienza si è aperta e chiusa in breve tempo, riservando comunque una grossa novità. Su richiesta dei pubblici ministeri, la Corte d'assise ha dato il via all'ascolto, il prossimo 17 di settembre, del pentito Vito Di Emidio. Lo stesso che con le sue prime dichiarazioni, ha consentito di scoprire gli autori della strage e delle altre due rapine.

«Quanto alla seconda rapina ai furgoni portavalori, l'idea nacque subito dopo l'esecuzione dell'altra all'altro furgone - ha dichiarato "Bullone" nell'interrogatorio reso il 7 giugno scorso, a soli nove giorni dalla cattura, dopo sei anni di latitanza, avvenuta il 28 maggio -. Marcello Ladu mi aveva chiesto di sostituire Fabio Maggio (il brindisino presente nell'altro assalto) con qualcuno più grintoso ed affidabile. Anche Tarantini aveva detto che il Maggio andava sostituito. Io a Brindisi non avevo nessuno da poter chiamare, e nel basso Salento avevo solo Tanisi. Quest'ultimo, dopo il buon esito della prima rapina, aveva deciso di unirsi a noi per l'eventuale effettuazione di un'ulteriore rapina ai furgoni portavalori. Un giorno incontrandoci con Tarantini e Ladu, l'Antonio ci disse che aveva visto due furgoni portavalori che effettuavano lo stesso percorso assieme. Venimmo pertanto invogliati a rapinare contemporaneamente i due furgoni. Fu così che si decise di unire al gruppo anche Gigi che non so come si chiama ma che so essere il secondo degli arrestati. In quei giorni antecedenti la seconda rapina sono andato in più occasioni nella masseria dove abitavano Gigi e il cognato a Melendugno. Debbo precisare che ho letto, sui giornali o sui fascicoli processuali, che erano in possesso di Ladu, che qualche giorno prima della rapina, un carabiniere li aveva visti uscire dalla masseria a bordo di una Lancia Thema. Io ho ricollegato quell'avvistamento all'occasione nella quale io, Ladu e Tanisi eravamo andati da Gigi e suo cognato perché pulissero le armi che poi avremmo utilizzato per la rapina; in quell'occasione noi comunque eravamo sempre armati di kalashnikov e fucili».

 

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