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Dalla Gazzetta del Mezzogiorno di Martedì 30 Aprile 2002

Ieri in aula la discussione dei difensori di Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau

«I due sardi sono stati incastrati»

Nuova udienza il 3 maggio e poi l’attesa sentenza

 

VEGLIE - Cinque ore per dimostrare l’innocenza dei due sardi ed allontanare la minaccia dell’ergastolo invocato dall’Accusa.

Per la difesa, Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau sono stati «incastrati». E gli avvocati Andrea Moreno e Pasquale Ramazzotti si sono alternati per dimostrare il loro teorema. All’avvocato Moreno, penalista barese, è toccato smontare gli indizi contenuti nel provvedimento di fermo che, emesso poche ore dopo l’assalto ai furgoni della Velialpol, consegnò al carcere i due cognati. Il difensore ha tentato di «demolire» ogni elemento, soffermandosi soprattutto sulle perquisizioni eseguite nella masseria di Santa Chiara. «Ce ne furono due: nella prima, condotta poche ore dopo la strage, venne rinvenuta solo la 164 smontata; nella seconda spuntarono anche le targhe ed il giubbotto antiproiettili, nascosti dove già i militari avevano controllato». La conclusione dell’avvocato Moreno è che qualcuno «ha voluto incastrare i sardi e ce li ha messi in secondo momento: del resto chi si porta a casa oggetti così scottanti?». Nella masseria, infatti, è stato trovato anche un grimaldello sul quale sono state rilevate tracce di vernice. Si tratta della stessa vernice del cancello forzato per rubare l’autocarro poi utilizzato per compiere l’assalto ai due portavalori in cui hanno perso la vita tre vigilantes: Luigi Pulli, Raffaele Arnesano e Rodolfo Patera, tutti di Veglie. 

L’arringa dell’avvocato Pasquale Ramazzotti aveva l’obiettivo di smontare le dichiarazioni di Vito Di Emidio che si è accusato della strage ed ha tirato in ballo anche i due sardi. «Di Emidio non è attendibile ed ha letto gli atti del processo». E’ la conclusione a cui è giunto il difensore venuto dalla Sardegna. Ed ha cercato di convincere i giudici della Corte d’Assise ricordando che il pentito ha smontato solo l’alibi di Congiu, che era fra gli atti del processo.

Prima della sentenza è prevista una nuova udienza. Ci sarà il 3 maggio: dopo l’arringa del terzo difensore, l’avvocato Elvia Belmonte, la Corte di Assise (presieduta da Elio Romano) si ritirerà in camera di consiglio

 

Dal Quotidiano di Lecce e dalla Gazzetta del Mezzogiorno di Sabato 4 Maggio 2002

Quotidiano di Lecce

E' carcere a vita per Congiu e De Pau, i primi del gruppo di fuoco a finire in giudizio

«Sono i killer»: ergastolo per i sardi

 

Il verdetto è giunto implacabile dopo quasi sei ore di camera di consiglio: ergastolo. I giudici togati e quelli popolari che gli sedevano accanto non hanno avuto dubbi: carcere a vita per i due pastori sardi Gianluigi De Pau e Pierluigi Congiu. Per loro, ritenuti al di là dei dubbi sollevati dai difensori, i killer, gli autori "della strage di Copertino" insieme con altri quattro personaggi, la Corte d'Assise di Lecce (presidente Elio Romano) ha voluto il massimo della pena, come chiesto dalla pubblica accusa. Per aver partecipato alla sanguinosa rapina ai due  portavalori della Velialpol - bottino un miliardo e 800 milioni - ma soprattutto per aver provocato la morte di tre guardie giurate: Raffaele Arnesano, Rodolfo Patera e Luigi Pulli ed il ferimento di altre tre, Giovanni Palma, Giuseppe Quarta e Flavio Matino.

«Quella mattina - aveva sottolineato nella requisitoria, tenuta qualche settimana fa, il pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia Gugliemo Cataldi - tre uomini, Arnesano, Patera e Pulli, si sono svegliati di buon'ora e si sono recati al lavoro così come avevano sempre fatto, senza immaginare nemmeno lontanamente che non avrebbero mai più fatto ritorno a casa». Tre pedine, finite per caso nel piano criminale di un gruppo di banditi.

In silenzio dal banco degli imputati, i cugini di Villagrande Strisaili (difesi dagli avvocati Elvia Belmonte, Andrea Moreno e Pasquale Ramazzotti), due dei componenti del commando armato che la mattina del 6 dicembre del '99 diede l'assalto ai due blindati, hanno seguito tutte le fasi del processo.

Ad inchiodare i Pastori sardi le dichiarazioni del boss brindisino, ora collaboratore di giustizia, Vito Di Emidio. Ma a giudizio c'erano finiti per una sequela di indizi a loro carico, che messi insieme avevano costituito comunque una prova buona per incardinare il processo (ma chissà quanto per una sentenza senza le dichiarazioni del nuovo pentito).

In aula "Bullone" - imputato in un procedimento connesso - ha ripercorso tutte le fasi della preparazione del colpo: dall'ideazione sino al giorno della strage. Attimi drammatici raccontati senza risparmiare particolari cruenti. Immagini dolorose che, come in film, sono scorse davanti agli occhi dei giurati. Affermazioni sin troppo 

precise e minuziose per dubitare che provenissero da chi quei momenti li ha realmente vissuti. Non ha dubitato che si trattasse di dichiarazioni veritiere la pubblica accusa: i sostituti procuratori Patrizia Ciccarese e Guglielmo Cataldi. Non hanno avuto tentennamenti i componenti della giuria popolare, quando hanno emesso la sentenza.

L'ex primula rossa della Scu cerca di ottenere uno sconto di pena? «Certo che vuole avvalersi dei benefici della legge - ha dichiarato il pm Cataldi- ed è proprio questa la prova della sua sincerità». D'altra parte Di Emidio accusa sè stesso, confessando verità terribili da sopportare. E anche chi era suo stretto alleato fino alla sera stessa della cattura, vale a dire Pasquale Tanisi e Marcello Ladu, entrambi ora in galera.

E' stato proprio Ladu a far incontrare Bullone con i due cugini sardi. Tutto è cominciato in quel momento. Gli avvenimenti si sono, poi, susseguiti sempre più in fretta sino al giorno della rapina finita nel sangue. Il rinvenimento all'interno della masseria "Santa Chiara" - usata dai due imputa per il pascolo del bestiame - dell'Alfa 164, una delle auto impiegate durante l'assalto ai due furgoni, aveva portato subito, quel 6 dicembre stesso, i due pastori in carcere, sebbene all'inizio solo per favoreggiamento e ricettazione. Gli indizi raggranellati uno ad uno avevano poi portato all'emissione, sempre per loro, di una seconda ordinanza di custodia cautelare in carcere, stavolta per concorso in rapina e in omicidio. Le dichiarazioni di "Bullone" hanno fatto il resto, cementando le accuse e agganciandole, fin qui senza possibile soluzione, ai due accusati. Nulla hanno potuto le pur appassionate e convinte argomentazioni dei difensori, che ancora ieri mattina, con l'avvocato Elvia Bel monte, hanno chiesto l'assoluzione dei due, a dispetto del «romanzo» raccontato da Di  Emidio. O forse proprio per questo.
Condannati due dei componenti del commando si chiude, in parte, una delle vicende più dolorose della storia salentina. Si farà il processo d'Appello, si farà il processo al resto della banda. Ma restano tre morti, che nessuna sentenza potrà mai resuscitare.

di Va.Be.


L'altra inchiesta

Elementi di prova schiaccianti, ora è pronto il processo-bis

 

Finito il primo processo, a breve comincerà l'altro, quello in cui per ora sono solo indagati gli altri componenti del gruppo di fuoco che diede l'assalto ai blindati della Velialpol: dal brindisino Vito Di Emidio, prima boss e ora pentito, al bandito sardo Marcello Ladu, a lungo latitante prima della rocambolesca cattura nella sua terra, a Nuoro; da Pasquale Tanisi, di Ruffano, ad Antonio Tarantini, di Copertino (ma residente a Monteroni).

Per loro, e per altri due imputati non accusati di omicidio, è terminato non da molto l'incidente probatorio davanti al gip Vincenzo Scardia. Male, è terminato. E per tutti. Le parole di Vito Di Emidio, che li chiama in causa non solo per la strage, ma anche per due altre efferate rapine (sulla Veglie-Leverano, ancora ad un blindato Velialpol, e ad una gioielleria di San Pietro Vernotico), ha avuto su tutti effetti devastanti. In particolar modo su Tarantini e Tanisi.

Nel primo caso, un capello - attraverso la prova del Dna - ha confermato quel che il pentito ha detto, e cioè che Tarantini era alla guida del camion con cui fu speronato il blindato a Veglie. Nel secondo, invece, sempre tramite il Dna (ma qui compiuto su tracce di sangue), sono state riscontrate le parole di Di Emidio su chi fosse con lui in macchina al momento della cattura, nel maggio del 2001: lui aveva detto Tanisi e Ladu, le tracce di sangue hanno confermato che sul sedile di dietro cera seduto proprio l'indagato di Ruffano. Ora ai pm non resta che formulare per tutti il capo d'accusa.


I parenti: L'urlo delle vedove

«Papà, papà, finalmente è fatta. Gli hanno dato il massimo»

 

Per quasi sei re ha atteso, impaziente, la sentenza dei giudici riuniti in camera di consiglio dalla tarda mattinata di ieri, sentenza che avrebbe deciso, almeno in primo grado, la sorte di Pier Luigi Congiu e Gianluigi De Pau, i due pastori di Villagrande Strisaili, autori con altri tre elementi di spicco della mala salentina ( Di Emidio, Tarantini, Tanisi) ed un conterraneo (l'ex primula rossa Ladu) dell'assalto ai furgoni portavalori della Velialpol che il 6 dicembre del '99 costò la vita a tra vigilantes di Veglie. Ha atteso a lungo, Romina Iacovelli, giovane vedova di Raffaele Arnesano, uno degli agenti uccisi. Poi, finalmente, la pronunzia lapidare del presidente Elio Romano: carcere a vita con isolamento diurno per nove mesi.

«Papà... Papà... gli hanno dato l'ergastolo...!» , così Romina ha accolto la sentenza, precipitandosi a raggiungere telefonicamente il suocero Gino, giù a Torre Lapillo, dove gestisce una rivendita di tabacchi.Poi un'altra telefonata, stavolta all'amica Maria Conte, vedova di Rodolfo Patera - un'altra delle guardie giurate trucidate quel giorno maledetto - e sua compagna di battaglia. Di quella grande e terribile battaglia che è continuare a vivere confidando nella giustizia. «E' una magistratura in cui ho avuto sempre fiducia», dichiara Romina, che ha seguito assiduamente dall'inizio le vicende processuali relative alla strage.

Non è tornata a Torre Lapillo, ieri sera, Romina. «E' rimasta coni suoi genitori a Veglie - spiega Gino, il suocero - meglio così. Bella mia, le tremava la voce quando mi ha chiamato e non voleva facesse lunghi percorsi da sola in auto».

Lui, Gino, sfidato e messo alla prova da una tragedia tanto più grande di lui, ieri in aula non c'era. «Temevo reazioni inconsulte - aggiunge - magari avrei scavalcato la cancellata per raggiungere qui due... perciò ho seguito tutto tramite la tivvù». Per quanto la sua voce sia fioca, il tono sommesso, l'uomo non nasconde la propria soddisfazione. «Ringrazio la magistratura - commenta -, ha lavorato tanto e bene, nè potrò cambiare opinione se i colpevoli presenteranno ricorso in appello perché allora saranno altre persone a decidere. Nessuno però, potrà mai ridarmi indietro il mio Raffaele».

E' un coro unanime quello che si leva di parenti stretti delle vittime. Un compiacimento, finalmente, dopo più di due anni, ora che il tempo e l'evoluzione in positivo delle indagini hanno edulcorato la rabbia e la sete di vendetta dei primi tempi. Comprensibili, sacrosante, degne di rispetto. «Sono contenta - dice Maria Conte, l'altra vedova - e pensare che all'inizio Congiu  e De Pau si erano dichiarati estranei alla vicenda... evidentemente non era così». Lei, minuta e volitiva, dopo la riottosità dei primi tempi ha seguito ogni "puntata" del processo. Ieri non ero presente - dice - perché ero impegnata coni miei bambini. I giudici, però, hanno confermato di essere i nostri pilastri».

Qualche dubbio, malcelato, si legge tra le righe nelle parole di Gianni Pulli, 29enne carabiniere in servizio a Firenze, figlio maggiore di Luigi, la terza vittima della strage. «Ergastolo? Perfetto! - esclama il ragazzo -, purché tale rimanga. Non vorrei che quei due fossero beneficiati con sconti di pena o quant'altro come spesso accade in questi casi e mi auguro altresì che i due pastori sardi non siano dei semplici capri espiatori». Ma alla fine cede anche lui, Gianni: «Sono molto felice,per me, per mamma e le mie due sorelle, per papà...». Tra cinque giorni il pm Guglielmo Cataldi ascolterà Bullone e soci. La battaglia della speranza, per i parenti delle tre guardie giurate, non è ancora finita. 

di Fabiana Pacella


Gazzetta del Mezzogiorno

Due condanne dopo sette ore di Camera di Consiglio per il blitz della Grotella

Ergastolo agli autori della strage

I pastori sardi accusati dell'uccisione di tre vigilantes di Veglie

Carcere a vita per i cognati sardi trapiantati nel Salento. Dopo sette ore di Camera di consiglio, Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau, sono stati riconosciuti colpevoli della Strage di Copertino.
Il verdetto, pronunciato dal presidente della Corte d'assise, Elio Romano, è stato accolto senza battere ciglio dai due imputati. Composta anche la reazione dei familiari, sempre presenti in aula. I legali dei condannati ricorreranno in Appello, dopo che, tra novanta giorni, potranno prendere visione del dispositivo della sentenza.
Datato 6 dicembre del '99, nell'assalto ai due furgoni portavalori della Velialpol, persero la vita tre guardie giurate.

VEGLIE - Due colpevoli per la strage di Copertino. Ieri sera, dopo sette ore di Camera di consiglio, i cognati pastori sardi trapiantati nel Salento, Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau, entrambi 27enni originari di Villagrande Strisauli, sono stati condannati all’ergastolo. Giusto come avevano invocato alla Corte d’assise i due pubblici ministeri Guglielmo Cataldi, della Direzione distrettuale antimafia, e Patrizia Ciccarese.

La sentenza, pronunciata dal presidente della Corte, Elio Romano, che per la decisione si è avvalso del giudice a latere Andrea Lisi e della giuria popolare, è stata accolta senza battere ciglio dai due imputati, sempre presenti in aula durante le udienze. Composta anche la reazione dei familiari, anch’essi sempre presenti in Corte d’assise.

Al carcere a vita, i giudici hanno aggiunto l’isolamento diurno per nove mesi, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e la perdita della patria podestà, ed hanno inoltre ordinato il risarcimento dei danni ai familiari delle vittime. Le guardie giurate dell’istituto privato di vigilanza Velialpol, Luigi Pulli, Raffaele Arnesano e Rodolfo Patera, tutti di Veglie, trucidate a colpi di kalashnikov.

Poco dopo la lettura della sentenza, i difensori dei condannati, gli avvocati Elvia Belmonte, Andrea Moreno e Pasquale Ramazzotti, hanno preannunciato il ricorso in Appello, che verrà comunque presentato allorché, entro il tempo massimo di novanta giorni, verrà depositato il dispositivo della sentenza.

Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau vennero arrestati poche ore dopo l’assalto ai due furgoni portavalori, dai quali utilizzando l’esplosivo portarono via circa tre miliardi di lire in contanti. L’arresto venne messo a segno nella masseria «Santa Chiara», a Melendugno, di cui i due avevano la disponibilità per via delle pecore da condurre al pascolo. Mentre era in corso il processo a loro carico, alle prove raccolte dai carabinieri, si sono aggiunte le dichiarazioni del pentito della Sacra corona, Vito Di Emidio. Oltre a se stesso ed ai due cognati, l’ex capo bastone ha tirato in ballo Marcello Ladu, un altro sardo, e i suoi luogotenenti, Antonio Tarantini, di Monteroni e Pasquale Tanisi, di Ruffano. Questo processo è in istruzione.

Dal Quotidiano di Lecce e dalla Gazzetta del Mezzogiorno di Martedì 14 Maggio 2002

Quotidiano di Lecce

Tre anni di reclusione a Vito Di Emidio per l'arsenale che fece ritrovare nel giugno del 2001

Condanna con lo sconto per il boss pentito

 

Il boss delle mille rapine e reo confesso di numerosi omicidi è stato condannato ieri mattina a tre anni di reclusione e a una pena pecuniaria di 400 euro. Al quinto piano del Tribunale di Lecce davanti al giudice delle indagini preliminari Laura Liguori è comparso il 35enne Vito Di Emidio, detto "Bullone": abbigliamento casual come quello dei sette-otto carabinieri che gli facevano da scorta, capelli in ordine (nell'udienza del 25 settembre del 2001 in cui comparse come imputato di reato connesso per la strage della Grottella era rasato a zero), un atteggiamento più tranquillo di quello di un bambino alla prima comunione, il boss che fino a poco più di un anno fa ha seminato il terrore nel Salento è stato giudicato con la formula del rito abbreviato che dà diritto allo sconto di un terzo della pena. Un'ulteriore riduzione gli è stata concessa per la sua posizione di collaboratore di giustizia.

Il gip Liguori ha condannato "Bullone" per i reati di furto, detenzione, ricettazione e alterazione di armi (da guerra e comuni) e di munizioni. E anche di un autoveicolo e di una targa. E' difeso dall'avvocato Alberto Chiriacò. Hanno preferito seguire il rito ordinario invece Marcello Ladu e Pasquale Tanisi (difesi dagli avvocati Luigi Corvaglia e Alfredo Cardigliano) che sono stati entrambi rinviati a giudizio: l'udienza si terrà 1'1 luglio presso la prima sezione penale del Tribunale di Lecce.

Ladu e Tanisi rispondono degli stessi reati contestati ieri a Di Emidio e commessi  in concorso al fine di agevolare l'associazione mafiosa di cui facevano parte, secondo quanto avvisato dalle indagini condotte dal procuratore aggiunto della direzione antimafia Cataldo Motta.

A "Bullone" e ai suoi presunti compari di malavita sono state attribuite ad esempio le armi ritrovate nella Lancia Thema la sera del 28 maggio del 2001 quando venne arrestato dai carabinieri del Nucleo radiomobile della Compagnia di Brindisi dopo l'inseguimento e la sparatoria avvenute sulla strada per San Donaci: nell'auto c'erano una pistola calibro 9 parabellum marca Zcz (arma da guerra), una pistola a rotazione calibro 38 Special marca Franchi, un fucile calibro 12 marca Benelli con canne mozzate e 25 cartucce calibro 357 Magnum. I fuggitivi Ladu e Tanisi si  sarebbero portati dietro 19 cartucce calibro 38 special, otto cartucce calibro  9 parabellum (per armi da guerra), 5 cartucce da caccia calibro 12, una pistola a rotazione calibro 357 Magnum e un fucile mitragliatore Ak 47 kalashnikov (arma da guerra).

"Bullone" risponde anche dell'arsenale ritrovato fra Ruffano e Casarano il 7 giugno, pochi giorni dopo il suo arresto: fu il segnale che il boss era passato fra le fila dei pentiti.

Complessivamente 1'armeria (nascosta nelle campagne in 
bidoni stagni) della banda era composta da nove fucili mitragliatori kalashnikov completi di 19 caricatori, dieci fucili da caccia, sei pistole, 31 bombe a mano, dieci chilogrammi di esplosivo (in parte confezionato in tre ordigni) 885 cartucce per armi da guerra e armi comuni.

Furono rubate da da armene o da abitazioni private, inoltre ai tre imputati viene contestato il furto della Lancia Thema di Michelino Maggio e delle targhe della Rover 400 di Flavio Arnò rubate nel parcheggio dell'ospedale di Campi Salentina e montate sulla Thema. Armi e mezzi servivano a compiere rapine, i più colpiti sono stati i tabaccai, i farmacisti e i furgoni portavalori.

di E. M.


Grottella, chiuse le nuove indagini

 

Si apre un nuovo capitolo nella vicenda processuale relativa alla strage della Grottella, l'assalto ai due portavalori della Velialpol costato la vita a tre guardie giurate ed il ferimento ad altre tre. Nata da una costola del primo procedimento - conclusosi meno di dieci giorni fa con la condanna all'ergastolo di due dei componenti del commando armato, Gianluigi De Pau e Pierluigi Congiu - la lunga indagine condotta dai sostituti procuratori Guglielmo Cataldi (della Dda) e Patrizia Ciccarese è giunta ad un punto fermo, con la notifica a sei persone dell'avviso di chiusura delle indagini.

Sono tre gli episodi criminosi su cui si fa luce: gli assalti ai blindati della Velialpol (il primo agguato il 2 novembre del '99 tra Veglie e Leverano, il bottino un miliardo e 200 milioni e tre agenti feriti; poco più di un mese dopo il sanguinoso agguato sulla Copertino-San Donato) e la rapina alla gioielleria Valzano a San Pietro Vernotico.

A dare il via al secondo troncone d'indagine le dichiarazioni del pentito brindisino Vito Di Emidio.

L'ideazione, l'organizzazione e la dinamica dei colpi, senza risparmiare particolari Bullone ha vuotato il sacco. Ed ha raccontato la sua verità. Aggiunti così gli ultimi tasselli, il mosaico si è composto e - parallelamente al processo a carico dei due pastori sardi - ha preso le mosse una seconda inchiesta denominata "Grottella bis" per distinguerla dalla prima. A più di due anni di distanza da quel 6 dicembre, il quadro è completo. Le accuse sono formulate.

Secondo quanto emerso dalle indagini sarebbero sei i componenti del commando armato che ha assaltato i due portavalori: oltre a De Pau e Congiu, Vito di Emidio, Marcello Ladu, Pasquale Tanisi e Antonio Tarantini. Questi stando anche alle affermazioni di Di Emidio.

«Quella mattina - ha raccontato il pentito - Antonio Tarantini conduceva il camion, io ero a bordo dell'Alfa 164 con Pasquale Tanisi ed il cognato di Gigi, Ladu con la Jeep».

Stesso gruppo - secondo la tesi accusatoria - per la prima rapina quella del 2 novembre, ad eccezione di Tanisi e De Pau. Presente invece, Fabio Maggio, sostituito dallo stesso De Pau durante il secondo colpo.

I1 26 novembre del '99, a 10 giorni dalla strage di Copertino, i banditi hanno ripulito la gioielleria Valzano - preziosi per un valore di 250 milioni - e sparato alcuni colpi di kalashnikov contro una pattuglia di carabinieri.

A costituire il gruppo di fuoco questa volta sarebbero stati: Congiu, Di Emidio, Ladu, Tarantini e Tanisi.

Il solo Ladu sarebbe responsabile anche di favoreggiamento, per aver aiutato Bullone a sfuggire alle ricerche durante la sua latitanza. Il pentito avrebbe poi, trovato rifugio a Nociglia in casa di Oronzo Campa, anche lui ora accusato di favoreggiamento.

di Va. Be.


 Gazzetta del Mezzogiorno

Nel calderone anche il primo assalto a un furgone portavalori della Velialpol ed una rapina in gioielleria

Dopo la condanna dei cugini sardi, altri quattro rischiano il processo

Strage di Copertino, chiusa l'inchiesta-bis

L'inchiesta bis per la strage di Copertino giunge al capolinea. Ad una settimana dalla condanna all'ergastolo inflitta ai due pastori sardi Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau, i sostituti procuratori Guglielmo Cataldi e Patrizia Ciccarese hanno emesso l'avviso di conclusione delle indagini preliminari.
L'inchiesta, nata dopo la confessione-fiume di Vito Di Emidio, che si è autoaccusato della strage ed ha indicato i complici, riguarda anche altri fatti. Complessivamente sono coinvolte otto persone.
Ma andiamo con ordine e cominciamo dall'assalto ai due furgoni portavalori in cui persero la vita tre guardie giurate della Velialpol (Rodolfo Patera, Raffaele Arnesano e Luigi Pulli) ed altrettante restarono ferite (Giovanni Palma, Flavio Matino e Giuseppe Quarta). L'assalto fruttò un miliardo e 800 milioni. Il 6 dicembre del '99, sulla Copertino-San Donato, entrò in azione un commando in assetto di guerra. Secondo l'Accusa, oltre ai due sardi e a Vito Di Emidio, ne avrebbero fatto parte Marcello Ladu, Pasquale Tanisi di Ruffano e Antonio Tarantini di Monteroni. Un commando armato con cinque kalashnikov; cinque fucili automatici; un paio di pistole, sei o sette bombe a mano di tipo "ananas", tre ordigni confezionati maniera artigianale. Omicidio plurimo, lesioni gravissime e rapina sono le accuse, oltre alla detenzione dell'arsenale e al furto degli automezzi impiegati nell'assalto. Di Emidio, Ladu, Tanisi e Tarantini rispondono anche del furto della Panda di Franco Albanese rubata a Melendugno poco dopo la rapina. La vettura sarebbe servita per allontarnarsi indisturbati mentre polizia e carabinieri mettevano a soqquadro la masseria Santa Chiara, dove era stata rinvenuta la 164 del commando, ed arrestavano i due cugini sardi.
Lo stesso gruppo di fuoco, sia pur con qualche variazione, avrebbe messo a segno l'assalto al furgone della Velialpol avvenuto fra Veglie e Leverano nel novembre del '99. Fu la prova generale della strage di Copertino. All'azione avrebbero partecipato Di Emidio, Ladu, Tarantini e Fabio Maggio, di Brindisi. Nell'assalto, che fruttò un bottino di un miliardo e 200 milioni, rimasero ferite tre guardie giurate: Andrea Pati, Aldo Nuzzo e Augusto Tarantino. Anche in questo caso venne impiegato un arsenale impressionante: kalashnikov, una pistola e varie armi fra cui due bombe fabbricate artigianalmente.
Il terzo episodio è la rapina alla gioielleria Valzano di San Pietro Vernotico. Un assalto particolarmente cruento che sarebbe stato messo a segno da Di Emidio, Ladu, Tarantini, Tanisi e Congiu.
Fra gli indagati è finito anche Oronzo Campa, 52 anni, di Nociglia. Insieme con Ladu è accusato di favoreggiamento per aver dato ospitalità a Di Emidio aprendogli le porte della propria abitazione.
Gli indagati sono difesi dagli avvocati Pantaleo Cannoletta, Alfredo Cardigliano, Luigi Corvaglia, Paola Giurgola, Alberto Chiriacò, Alessandro Troso, Elvia Belmonte, Pasquale Ramazzotti, Anna Grazia Maraschio. Gli indagati hanno venti giorni di tempo per presentare memorie difensive o produrre documenti.

Dalla Gazzetta del Mezzogiorno di Venerdì 7 Giugno 2002

Chiusa l'inchiesta-bis nata dalle rivelazioni di Vito Di Emidio, il superlatitante pentitosi dopo la cattura
«Alla sbarra gli uomini della strage»

 

VEGLIE - «Mandate sotto processo gli autori della strage di Copertino». Dopo la chiusura delle indagini, l'inchiesta-bis, nata dalle dichiarazioni di Vito Di Emidio, arriverà presto davanti al giudice. I sostituti procuratori Guglielmo Cataldi e Patrizia Ciccarese hanno firmato le richieste di rinvio a giudizio per i presunti componenti del commando che la mattina del 6 dicembre del '99 hanno assaltato due furgoni portavalori della Velialpol. Fu una vera azione di guerra: furono impiegati fucile, pistole e bombe. E per terra rimasero i cadaveri di tre guardie giurate: Rodolfo Patera, Raffaele Arnesano e Luigi Pulli, tutti di Veglie. Altri tre vigilantes (Giuseppe Quarta di Copertino, Giovanni Palma e Flavio Matino entrambi di Veglie) rimasero feriti.
All'assalto, insieme con «Bullone», avrebbero preso parte i due sardi Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau (già condannati all'ergastolo in primo grado), Pasquale Tanisi di Ruffano, Antonio Tarantini di Monteroni, e l'ex primula rossa isolana Marcello Ladu. Ma l'inchiesta riguarda anche un altro assalto, quello messo a segno un mese prima. Fu la prova generale della strage della Grottella e rimasero ferite tre guardie giurate: Andrea Pati, Aldo Nuzzo e Augusto Tarantino. Al primo assalto, avvenuto sulla Leverano-Veglie, avrebbero preso parte oltre ai «soliti» Di Emidio, Ladu e Tarantini, anche Fabio Maggio di Brindisi. La sua mano poca ferma, però, lo avrebbe fatto escludere dal grande colpo.
La richiesta di rinvio a giudizio riguarda anche Oronzo Campa, 52 anni, di Nociglia. E' accusato di aver fato ospitalità a Di Emidio durante la latitanza, aprendogli le porte della sua abitazione.
La richiesta di rinvio a giudizio non riguarda Marcello Ladu: la sua posizione, per alcune esigenze procedurali, è stata stralciata. Ma non è escluso che, in seguito, possa essere riunificata.

 

Dal Quotidiano di Lecce di Mercoledì 3 Luglio 2002

 

Ieri mattina le decisioni del gip sull'inchiesta bis per il clan Di Emidio

Strage della Grottella: tutti a giudizio, ma in modo diverso

Un patteggiamento, due rinvii a giudizio e quattro ammissioni al rito abbreviato: l'inchiesta bis sulla strage della Grottella (6 dicembre '99, tre vigilantes uccisi nella tragica rapina ai furgoni della Velialpol) e su altre imprese della banda Di Emidio si spezzetta davanti al giudice  dell'udienza preliminare Maurizio Saso.

Così ieri mattina Pasquale Tanisi e Antonio Tarantini, accusati di aver partecipato all'eccidio, alla precedente rapina ad un altro furgone Velialpol (2 novembre '99, sulla Veglie-Leverano, tre feriti) e all'assalto alla gioielleria Valzano di San Pietro Vernotico (il 26 novembre dello stesso anno), hanno preferito affidarsi al rito ordinario, finendo per essere rinviati a giudizio in un processo che inizierà in Corte d'assise il 15 ottobre prossimo. Diversa la strategia difensiva di altri 4 imputati: il pentito Vito Di Emidio, boss incontrastato del gruppo fino all'arresto nel maggio del 2001, precedente di pochi giorni alla sua decisione di entrare nella schiera dei collaboratori di giustizia; i pastori sardi Puierluigi Congiu e Gianluigi De Pau, già condannati all'ergastolo per la strage (furono i primi ad essere arrestati, a poche ore dall'assalto mortale) e qui imputati per gli altri colpi (Congiu per le due precedenti rapine, De Pau per il furto dei veicoli usati nella strage), e - infine - il brindisino Fabio Maggio, accusato del primo colpo alla Velialpol. Per loro richiesta e ammissione al rito abbreviato che si svolgerà il 18 novembre davanti allo stesso gup Saso.

Il patteggiamento, ad un anno e 4 mesi di reclusione, riguarda Oronzo Campa, di Nociglia, accusato di favoreggiamento personale per aver ospitato a lungo un Di Emidio latitante. Infine, per Marcello Ladu, il bandito sardo catturato per ultimo e accusato di aver partecipato ai due assalti alla Velialpol e alla rapina della gioielleria, udienza preliminare da rifissare: un vizio ha annullato la notifica per la data di ieri.

A difendere gli imputati gli avvocati Elvia Belmonte, Pantaleo Cannoletta, Alfredo Cardigliano, Luigi Corvaglia, Anna Grazia Maraschio.

I familiari di due delle tre vittime della Grottella, Rodolfo Patera e Raffaele Arnesano (Luigi Pulli la terza) si sono costituiti parte civile conl'avvocato Gaetano Gorgoni. Stessa cosa hanno fatto i titolari della gioielleria Valzano, con l'avvocato Paolo Spalluto, e la Velialpol, con l'avvocato Claudio Di Candia.

 

Dal Quotidiano di Lecce di Sabato 21 Settembre2002

Ieri mattina il rinvio a giudizio del pastore

accusato di aver preso parte alla strage di due anni fa

Grottella, anche Ladu sotto processo

Partecipò alla preparazione e all'esecuzione della strage della Grottella, per questo va processato. Con questa motivazione il giudice delle udienze preliminari Maurizio Saso ha rinviato a giudizio il pastore sardo Marcello Ladu, 29 anni, che il 12 dicembre di due anni fa avrebbe fatto parte del commando che assaltò il furgone portavalori della Velialpol con l'esplosivo, a colpi di kalashinicov e lanciandogli contro un camion. La ferocia usata dai rapinatori causò la morte delle guardie giurate Luigi Pulli, Rodolfo Patera e Raffaele Arnesano, e il ferimento grave di Giuseppe Quarta, Flavio Matino e Giovanni Palma.

Ladu sarà processato il 15 ottobre in Corte d'Assise: risponde di omicidio colposo, lesioni personali gravi, detenzione illecita di armi e di esplosivo, e di rapina.

Degli stessi reati sono accusati anche Vito Di Emidio (diventato collaboratore di giustizia) e Pasquale Tanisi, rinviati a giudizio nei mesi scorsi dallo stesso gup Saso, e per questo il loro procedimento penale sarà unificato a quello di Ladu. Di quel commando hanno fatto parte anche Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau (oltre ad Antonio Tarantini e Fabio Maggio) già giudicati e condannati all'ergastolo nel processo di primo grado conclusosi il 3 maggio di quest'anno. A invocare il  massimo della pena furono i pubblici ministeri  Guglielmo Cataldi (della Direzione distrettuale antimafia) e Patrizia Ciccarese, gli stessi che hanno chiesto dal gup il rinvio a giudizio di Ladu perché lo ritengono completamente coinvolto nella preparazione e nel compimento della rapina sanguinaria. E in particolare: nel furto e nella rapina dei mezzi utilizzati nella strage; nel lanciare il camion contro il furgone della Velialpol provocando lo scontro frontale nel quale perse la vita Luigi Pulli e rimasero feriti Palma e Matino; ne1 posizionare le autovetture Nissan Pick up (condotta da Ladu), la Saab 9000 (condotta da Congiu) e l'Alfa 164 (condotta da Di Emidio) per impedire la fuga dei due furgoni; nell'esplodere i colpi di fucile mitragliatore kalashnikov contro i furgoni portavalori e di aver rapinato da uno la somma di un miliardo e 800 milioni mentre dall'altro la rapina non riuscì poiché l'esplosivo deformò le lamiere rendendo impossibile l'accesso al vano cassaforte. Ladu è anche accusato di aver commesso i12 novembre del 1999, in concorso con la banda, la prima rapina di un miliardo e 200 milioni di lire a un furgone della Velialpol. E di aver rapinato la gioielleria Valzano di San Pietro Vernotico: bottino 250 milioni di lire. Una delle tante scorribande del connubio criminale Ladu-Di Emidio.

di E. M.

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