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da "Dania"  - Venerdì 3 Gennaio 2003 

(Dania suggerisce anche la lettura delle seguenti pagine tratte da "Lettere di Don Lorenzo Milani priore di Barbiana" - Arnoldo Mondadori Editore)

Lettera di don Lorenzo Milani all’Arcivescovo di  Firenze Cardinal Florit - 5 marzo 1964

Lettera di risposta del Cardinal Florit a don Lorenzo Milani - 25 gennaio 1966

LA SOLITUDINE DEI PRETI SCOMODI

Solo Iddio può scrutare nel profondo degli animi e leggere, in ogni istante e nei pensieri più nascosti, le gioie e i tormenti di ogni essere umano. Noi possiamo solo immedesimarci nelle situazioni, immaginando cosa avremmo provato, come avremmo voluto comportarci e quanto avremmo voluto che gli altri comprendessero il perché delle nostre scelte.

 

DON LORENZO MILANI

Chi non ha mai sentito parlare di Don Lorenzo Milani, il Priore di Barbiana? Vorrei che coloro che lo hanno ritenuto "sorpassato" si riprendessero in mano la sua corrispondenza e la sfogliassero fino ad arrivare a quella intercorsa fra lui e il Cardinale Ermenegildo Florit. Vorrei leggessero le date, così da scoprire che una lettera inviata da Don Milani in data 5.3.1964, in cui chiedeva al suo Superiore un atto solenne che onorasse il suo apostolato svolto presso le comunità di Calenzano e di Barbiana, ottenne risposta solamente il 25.1.1966, quando era già gravemente ammalato.

 

Così il Vescovo motiva il lungo silenzio: […] Ti sei lamentato che non ti ho mai risposto a quella lettera. Non lo feci perché volli attribuire quel tuo sfogo a uno stato d'animo di pena e di dolore, cui non era dovuta una risposta polemica, come ero tentato di dare, ma la comprensione o almeno il silenzio. […]

 

Un padre riceve una lettera dal proprio figlio, lo riconosce in preda a pena e dolore e… anziché correre per accertarsi di persona della situazione, per consolare, appoggiare o anche ammonire e correggere, se necessario, tace e resta gelidamente lontano…

 

Come se non bastasse, dopo due lunghi anni di perfetto silenzio sarà lui, il Vescovo, a rinfacciare a don Milani una carenza di paternità: […] il fatto poi che sei stato per anni a Barbiana, credo sia dipeso da questo: i tuoi superiori hanno creduto di non riconoscere in te la necessaria disposizione alla carità pastorale, ma piuttosto lo zelo fustigatore che ti fa apparire dominatore delle coscienze prima ancora che padre. […]

 

Nel suo testamento don Lorenzo, questo prete accusato di non possedere senso paterno, scriverà ai suoi ragazzi: […] "Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto sul suo conto." […]

 

Non occorrerà leggere altro per immaginare in quale solitudine fosse stato lasciato questo giovane prete. Anche se confinato in uno sperduto paese di montagna, egli seppe far sentire al mondo la sua voce chiara e lungimirante su argomenti come l'obiezione di coscienza, l'insegnamento, l'apostolato: tutti torti che andarono a sommarsi a quello d'aver scelto di schierarsi dalla parte dei più piccoli, per farli divenire, semplicemente, cittadini informati ed autonomi, oltre che buoni cristiani.

 

DON OMOBONO BUSOLLI

Era Don Bono per gli adulti, Bombono per i piccolini: in realtà si chiamava Don Omobono. Ufficiava in una parrocchia Milanese. Attivo all'inverosimile, sempre sorridente, sempre pronto ad ogni richiamo, ad ogni richiesta. Era tra le giovani dell'oratorio, che riusciva a svolgere al meglio la sua vocazione di sacerdote, religioso Rosminiano.

 

Andava sempre al nocciolo delle questioni, l'esteriorità per lui non contava. Non sopportava il perbenismo di una certa categoria di baciabanchi: diceva pane al pane e vino al vino e questo non era gradito a tutti, anzi, era sgradito a molti!

 

Una divergenza d'opinioni, una disobbedienza al Prevosto? Non volle se ne discutesse per non creare ulteriori incomprensioni. Fu allontanato da Milano, da quella parrocchia che aveva contribuito a far sorgere; dalla sua comunità aperta e pronta alle novità. Coerente al voto di obbedienza, ma con umano rammarico, si preparò alla partenza, col suo bagaglio composto da quattro misere cose.

 

Ricordo le sue parole-testamento pronunciate durante l'Omelia della Messa d'addio:

"Che nessuno abbia mai a pentirsi d'avervi conosciuto"!

 

Da Roma scriverà: "Io, dopo i vari sballottamenti mi sono fermato a Roma. A Montecompatri ho trovato semaforo rosso e me ne sono tornato sui miei passi. Chi ci capisce qualcosa è bravo. Ora sono qui in deposito, fino alla prossima estate, in attesa del "verde" per Montecompatri".

 

Dopo vari e incomprensibili Stop, fu assegnato ad un paesetto sperduto della Sicilia, dove, con la gente che frequentava la chiesa, nonostante la buona volontà, non gli riuscì d'instaurare qualcosa che potesse assomigliare a un dialogo. Troppo il divario tra mentalità e troppo diverso il linguaggio. L'espressione: "No, no, Parrino, cosa hai capito?" Era divenuta un classico.

 

Messo a dura prova dalla solitudine in cui si trovò relegato, perché un prete che non riesce a farsi comprendere dai fedeli a lui affidati, non può che sentirsi solo, lasciò la congregazione religiosa.

 

Trovò accoglienza nella diocesi Trentina. Con l'incarico di cooperatore fu assegnato alla parrocchia di Folgaria da dove scriverà:

"Sì, è stato un salto meraviglioso quello che ho fatto dai fichi d'india ai ghiacciai, specialmente perché quassù posso almeno comprendere quanto mi dicono e farmi capire, nel giusto senso, quando parlo io […]. Chissà perché mi han fatto sparire da Milano; ci si intendeva così bene! […] Come sono contento di sentirvi dire che il nostro incontro vi ha permesso di guardare ai veri valori e non al "che cosa dirà la gente"; a rispettare le idee altrui qualunque esse siano; a voler scoprire le buone intenzioni che formano la realtà della persona al di sopra degli alti e bassi che si possono avere!" […]

 

In seguito fu incardinato nel clero diocesano. Lo videro parroco Sover e Valda: paesi della Valle di Cembra, così come Lisignago, ultima residenza terrena. Il suo cuore grande, buono e generoso, sempre attento ai bisogni di tutti, all'infuori di quelli della propria persona, lo tradì troppo presto…

 

DON VITALIANO DELLA SCALA

Può capitare che il telecomando del televisore venga fatto scattare inavvertitamente e che sul video appaiano personaggi le cui vicissitudini interessano milioni di persone e anche te.

Che fai allora? Ti siedi comodamente là davanti, guardi e ascolti.

Ma se sei amico di un giornale seppur locale, sia esso cartaceo o virtuale, prima corri a prendere lapis e notes, per prendere appunti.

 

Così mi è accaduto, il 3 dicembre scorso, di sintonizzarmi su "LA 7", e d'imbattermi, purtroppo a discussione già inoltrata, nel programma "Otto e mezzo", condotto da Giuliano Ferrara e Marco Sofri.

 

Sulla "graticola" era posto Don Vitaliano Della Sala, il religioso di cui tanto si sta parlando per la sua partecipazione alle manifestazioni anti-global, a cui ha fatto seguito la decisione del suo Superiore di sollevarlo dall'incarico di parroco, non proponendogli un "confino", ma un prepensionamento. (Forse perché Sant'Angelo a Scala, in Irpinia, è già di per sé un luogo di raccoglimento).

 

Ecco uno stralcio della lettera di licenziamento per Don Vitaliano, redatta da Monsignor Tarcisio Giovanni Nazzaro, Abate di Montevergine.

 

"[…] "ti ammonivo formalmente esortandoti a modificare il tuo comportamento che arreca turbamento alla comunione ecclesiale", ma tu "hai continuato a dissentire pubblicamente", perseverando "nella frequenza di centri e associazioni noti per diffusione di idee in contrasto con la dottrina e l'insegnamento della Chiesa e che non rifuggono dalla violenza; a norma del diritto canonico "decreto la tua rimozione dall'Ufficio di Parroco di Sant'Angelo a Scala". "Al momento non ritengo di doverti assegnare altro ufficio ecclesiale, ma "una pensione". Don Vitaliano, "ti asterrai dall'esercizio di qualsiasi funzione legata all'Ufficio di Parroco e lascerai libera quam primun la casa parrocchiale. Il Signore ti illumini". (Corriere della Sera, 29/11/02 pag. 17)

 

Al dibattito della trasmissione Otto e Mezzo intervenivano, in collegamento esterno, Padre Piero Gheddo, missionario e scrittore del PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere) e Don Andrea Gallo - un prete da marciapiede - fondatore della Comunità "San Benedetto al Porto" di Genova.

 

Il primo "contro", l'altro "pro" Don Vitaliano, se i due termini possono passare per buoni.

 

Padre Gheddo, intercalando i suoi interventi con delle risatine, diceva: don Vitaliano, hai giurato fedeltà alla Chiesa, al Vescovo, al Papa: punto e basta! Condanno i no-global. Ci sono, nel Terzo Mondo, numerosi missionari italiani che danno la vita!

 

Don Gallo, invece: l'obbedienza, sì, la voce di Dio, sì, ma il Vescovo deve ascoltare, fare riflessione in tutta la diocesi: il Popolo ha voce? Ha parola? … Don Vitaliano, non sei in pensione, sei in comunione!… Ti aspettiamo a Genova!

 

Ferrara incalzava l'ospite in studio: E' vero Don Vitaliano che lei ha proposto di dare L'8 ‰ alla Chiesa Valdese? E' vero che lei è amico di Bertinotti?

 

E Don Vitaliano, col suo sorriso pacato: La mia era una protesta. Non ci sono strutture… L'8‰ anche per le strutture parrocchiali!… Ho chiesto e non mi hanno dato un finanziamento per l'oratorio… Il Vescovo dice che Rifondazione Comunista mi finanzia per distruggere la Chiesa dall'interno… M'affido al Padreterno: il Vescovo m'ha mandato in pensione… in pensione a 39 anni!…

 

Dopo un ultimo ripasso sul quesito: "Esiste o no, la libertà di coscienza?" Ferrara e Sofri congedavano gli ospiti, mentre la televisione, ligia al palinsesto, passava a trasmettere altro.

 

Delle vicende di don Vitaliano e della decisione del Suo Vescovo, non hanno mancato di occuparsene i giornali, coinvolgendo anche la gente comune: leggo un'e-mail sulla pagina delle opinioni del Corriere dell'undici dicembre:

 

"Don Vitaliano-Posizione della Curia. La posizione assunta dalla Curia riguardo don Vitaliano mi sembra corretta. Stiamo parlando di un religioso che, durante le violenze e le devastazioni genovesi era proprio lì, in mezzo ai terroristi che distruggevano vetrine e incendiavano autovetture. Può una persona del genere parlare a nome della chiesa, portatrice di amore e carità? Aiutatemi a trovare tutto ciò nelle parole e nei fatti di Don Vitaliano e sarò felice di cambiare idea… M.A."

 

Interrogativi che sembrano non fare una piega. Però, riflettendo:

Don Vitaliano, in quanto religioso, è Ministro del Sacramento della Confessione. Come tale, immagino si sia trovato più volte, nella penombra del confessionale, ad ascoltare le colpe altrui. Veniali? Mortali? Confessioni di ruba-marmellata o, Dio non voglia, di violenti o assassini? Come prete non può fare distinzione fra peccatore e peccatore; non può fuggire, deve restare là ad ascoltare; e sarà poi tenuto, comunque, a mantenere il segreto!

Ditemi: una persona del genere potrà ancora venirci a raccontar parabole di amore e carità?

 

Se proprio è necessario che se ne parli, quello che ci devono dire non è tanto se Don Vitaliano era in questa o quell'altra piazza, ma se ha usato violenza contro qualcuno; compiuto atti vandalici o aizzato altri a compierli; perché se ha solo scelto di marciare, o comunque di manifestare contro qualcosa che riteneva e ritiene ingiusta, altro non ha fatto che esercitare il suo diritto di pensiero, parola, critica ed opinione.

 

Lo hanno sentito gridare a Genova: ma chi non gridava in quella piazza, in quella bolgia che s'era formata, da non riuscire più a distinguere i violenti dai non violenti, le tute nere dalle tute bianche?

 

C'è poi la questione dei Centri Sociali. Se don Vitaliano, come un qualsiasi altro prete, decide di frequentarli, non c'è da chiedersi se non lo faccia per concretizzare la sua missione pastorale? Perché è proprio in quelle strutture che si ritrovano tanti giovani sommersi da problematiche, che per affrontarle spesso non sanno a chi rivolgersi! Una volta là, il sacerdote potrà incontrarli e guadagnarsi la loro fiducia proponendo un aiuto fraternamente cristiano.

 

Giovane tra i giovani e ultimo tra gli ultimi: potrebbe essere questo lo spirito di Don Vitaliano. Dovrebbe allora poter contare su tutto l'appoggio e tutta la paterna comprensione del suo Vescovo e non essere licenziato e lasciato solo! Che il Signore illumini Monsignor Tarcisio Giovanni Nazzaro!

 

Esiste una costante che accomuna i preti scomodi: la povertà e la scelta di mettersi, incondizionatamente, dalla parte degli ultimi (peculiarità della Santa Madre Chiesa, queste), nonché lo smarrimento nel non sentirsi appoggiati nei loro slanci di fede e di carità proprio dai loro Superiori, più disposti ad esiliarli che a comprenderli.

 

Troppo spesso, certamente in buona fede, viene loro ordinato di "non" essere se stessi, di non seguire i dettami della loro coscienza, della loro generosità e della loro sensibilità, nonché della loro intelligenza. Troppo spesso si dimentica che tutti sono tenuti ad osservare il comandamento della carità: le angherie, le delazioni, le umiliazioni e le maldicenze, non regalano santità, ma dolore, solitudine e sconforto, delle cui conseguenze ognuno, Superiore o subalterno, religioso o laico, dovrà un giorno rendere conto.

Dania

 

 

 

Tratta da "Lettere di Don Lorenzo Milani priore di Barbiana" - Arnoldo Mondadori Editore)"  e segnalata da Dania  - Venerdì 3 Gennaio 2003

 

Lettera di don Lorenzo Milani all'Arcivescovo di Firenze, Cardinal Ermenegildo Florit  - Barbiana, 5 marzo 1964

 

Caro Monsignore,

la ringrazio della sua lettera che non posso interpretare che come un atto d'amicizia. Non riesco però a capire se ella ha mai saputo quel che ho detto e scritto a Mons. Vicario e se sa che, fra l'altro, io gli ho chiesto che, anche lei venisse a parlare ai miei ragazzi e ai loro genitori. Naturalmente ciò che le chiederei non sarebbe un qualsiasi discorso generico, ma d'esaminare in presenza a loro, a fondo, senza pudori e senza pietà, il problema dei rapporti tra il mio apostolato e il vostro atteggiamento.

Ho passato i miei diciassette anni di sacerdozio tutto teso solo verso le anime che il Vescovo mi aveva affidato. Del Vescovo non mi son mai curato.

Pensavo nella mia ingenuità di neofita che il Vescovo fosse un padre commosso della generosità dei suoi figli apostoli, preoccupato solo di proteggerli aiutarli benedirli nel loro apostolato. Pensavo che egli amasse i miei figlioli così che tutto quel che facevo per loro gli paresse fatto a lui e così il legame fra me e lui anche senza mai vedersi o scriversi fosse il più alto e il più profondo che esiste: un oggetto d'amore in comune.

Dopo sette anni di questa illusione idillica, d'un tratto seppi la tragica realtà: la Curia fiorentina e il Vescovo erano un deserto!

Allora scelsi quella che in quel momento mi parve la via della santità: per nove anni ho badato soltanto a salvarmi l'anima, a accettare in silenzio le crudeltà [... ] con cui calpestavate in me un uomo, un neofita, un cristiano, un sacerdote, un parroco cui in diciassette anni di sacerdozio non avevate saputo trovare neanche il più piccolo appiglio per un richiamo, un consiglio, un rimprovero.

Ho badato a accettare in silenzio perché volevo pagare i miei debiti con Dio, quelli che voi non conoscete. E Dio invece mi ha indebitato ancora di più: mi ha fatto accogliere dai poveri, mi ha avvolto nel loro affetto. Mi ha dato una famiglia grande, misericordiosa, legata a me da tenerissimi e insieme elevatissimi legami. Qualcosa che temo lei non abbia mai avuto. E per questo m'è preso pietà di lei e ho deciso di risponderle.

Da due anni in qua i medici e alcuni segni m'han detto che è l'ora di prepararsi alla morte. Allora ho voluto riesaminare freddamente questi diciassette anni di vita sacerdotale. Anzi i loro frutti. E m'è improvvisamente saltato all'occhio che la santità non è così semplice come io credevo.

Lasciarsi calpestare può essere santo, ma nel calpestare me voi calpestavate anche i miei poveri, li allontanavate dalla Chiesa e da Dio. E poi che serve amare e tacere, porger la guancia ai soprusi e alle calunnie quando chi li compie è il capo della Chiesa fiorentina? Più santamente io tacevo e più scandalosa appariva la lontananza del Vescovo dai poveri, dalla verità, dalla giustizia. Ho lavorato alla costruzione della mia personale santità che (se anche l'avessi raggiunta - non sarebbe servita (in questa vita) che a metter in luce l'abiezione d'una Curia che esilia i santi e onora gli adulatori e le spie.

Se lei non mi onora oggi con un qualsiasi atto solenne, tutto il mio apostolato apparirà come un fatto privato, qualcosa di simile all'opera d'un pastore protestante. Ma io non lo sono stato e lei lo sa. Se lei ne avesse avuto anche solo l'ombra del dubbio le correva l'obbligo gravissimo di cercarmi, parlarmi, salvarmi.

Ho servito per diciassette anni la Chiesa Cattolica nei suoi poveri, vorrei oggi per una volta servirla anche nei suoi ministri che purtroppo fino a oggi ho trascurato, anzi dimenticato. Ecco perché le porgo oggi una mano.

Vuole ereditare la mia umile opera? Vuole mietere dove io ho seminato? Vuol partecipare all'abbraccio affettuoso dei poveri che mi vogliono bene, che ho tentato di avvicinare al Signore, che sono talmente buoni (vorrei quasi dire tanto " stupidamente " buoni) da esser capaci di perdonarle tutto da oggi a domani e accoglierla come uno di loro così come hanno accolto me? Vuole con un tratto di penna cancellare diciassette anni di scandali che la Curia fiorentina ha dato ai due popoli che mi aveva affidato? Vuole annettere con un tratto di penna (che è doveroso oltre a tutto) nell'ortodossia cattolica ciò che per diciassette anni ho eroicamente mantenuto fino allo scrupolo nell'ortodossia cattolica e che il suo comportamento fino a oggi faceva invece apparire eterodosso?

Le propongo una soluzione pratica. Mi inviti lei personalmente a tenere delle lezioni o conversazioni di pratica pastorale al Seminario Maggiore. Non le chiedo di dire ai seminaristi e ai miei due infelici popoli che questa mia è la santità, che questa è la ricetta unica dell'apostolato, che tutto il resto è errore. Le chiedo solo di dire ai seminaristi e ai miei due infelici popoli che nella Casa del Padre mansiones multae sunt e che una di esse generosa e ortodossa fino allo spasimo è stata quella del prete che ella ha fino ad oggi implicitamente insultato e lasciato insultare.

Un abbraccio fraterno dal suo

Lorenzo Milani sac.

Da: "Lettere di Don Lorenzo Milani priore di Barbiana" pag. 207-210 Arnoldo Mondatori Editore

 

 

 

 

Tratta da "Lettere di Don Lorenzo Milani priore di Barbiana" - Arnoldo Mondadori Editore)"  e segnalata da Dania  - Venerdì 3 Gennaio 2003

Lettera del Cardinal  Florit a don Lorenzo Milani,  -  Firenze 25.1.1966

 "Caro don Milani,

ho avuto la tua lettera qualche giorno prima del nostro incontro in clinica, ed ho comunicato a chi di ragione le notizie che mi dai circa il dispaccio DIES del 24 ottobre 1965, origine del malinteso e fonte delle ulteriori notizie comparse su vari giornali italiani nei mesi successivi.

   "Riguardo a quanto mi scrivi circa l'atteggiamento della Curia verso di te, tu sai che il tuo Vescovo non ti ha mai rimproverato di essere un eretico! Ma sai anche che la Chiesa è un organismo composito, nel quale sono presenti opinioni diverse e legittime finchè rispettano la verità essenziale e atteggiamenti pratici altrettanto diversi, dalla santità eroica alla debolezza morale.

   "Ora la tua natura, il tuo modo di parlare, di scrivere, di essere, ti porta agli scontri verbali, agli estremi, alle espressioni-limite. Non tutti la pensano come te, e la maturazione delle coscienze verso nuovi orizzonti avviene lentamente; essa non può essere imposta dal Vescovo, che deve cercare di comprendere gli uni e gli altri, di moderare e stimolare, di sorvegliare e di esercitare una funzione mediatrice fra le varie persone, temperamenti, tendenze che caratterizzano una comunità e che il Signore, con divina pazienza, lascia crescere insieme. Avrò io Vescovo saputo svolgere questa non facile funzione? Certo nel desiderio e nella volontà. Giudichi Iddio per quanto riguarda i fatti.

   "Una cosa debbo constatare: l'atteggiamento che assumi nelle tue polemiche, nelle tue denuncie, esprime certamente un sincero amore della verità, di Dio, dei poveri, ma non di rado ferisce gli altri oppure offre occasioni o pretesti a chi vuol colpire la Chiesa o non la conosce.

   "Tu potrai magari scuotere le coscienze, ma resta vero che l'aceto converte pochi, e una goccia di miele ogni tanto attirerebbe forse più anime a Dio. Papa Giovanni insegna. Forse le stesse cose che tu dici potrebbero essere dette con altrettanta forza e con altro tono, in modo che anche i ricchi e i cosiddetti potenti (che poi sono i più poveri di fede e più aridi di cuore) sentissero che nascono da un cuore che vuol bene anche a loro. Qualche volta ho l'impressione che tu abbia consapevolezza eccessiva di quanto hai sofferto, e che questo ti faccia sentire in diritto di giudicare.

   " Di qui nasce quella certa atmosfera quasi di lotta classista che è presente nei tuoi interventi: di fronte alla tua prosa dura e talora sarcastica immediatamente chi legge si schiera dall'una o dall'altra parte, anche per materie sulle quali il giudizio è per sé libero: si sente spinto alla zuffa più che alla riforma interiore, che è la vera lotta della Chiesa e dei cristiani, quella che fece scomparire, ad esempio, l'ingiustizia disumana della schiavitù. San Paolo, che pure ebbe la stoffa del polemista, non l'attacca di fronte, ma basta il suo biglietto a Filemone per ferirla nel cuore.

   "Tu, don Milani, sei per natura un assolutista, e rischi di produrre, specialmente tra i più sprovveduti di cultura e di fede, dei veri classisti, di destra o di sinistra non importa.

   "Ecco quanto volevo dire nel mio comunicato sull'obiezione di coscienza, nel quale, parlando sia per i cappellani militari che per te, accennai ad uno spirito classista e parziale che inconsapevolmente affiora in certe posizioni che hanno del vero sul piano dei princìpi, ma che si prestano ad essere fraintese per il modo usato nel difenderle.

   "Questo, in fondo, era il difetto anche del tuo libro Esperienze pastorali, nel quale la battaglia contro ogni altro metodo pastorale che non fosse la scuola (così almeno fu inteso) ti fece apparire un po' illuminista.

   "Riguardo alla posizione del tuo Vescovo verso di te è di affetto sincero, anche se personalmente non approvo, come ti ho detto sopra, il tuo modus. Mi dispiacque perciò assai la tua lettera del 5 marzo 1964, inviatami tramite mons. Bensi, e alla quale non risposi perché mi sembrò ingiusta nella sostanza e impulsiva nella forma. So che in passato ti sei lamentato che non ti ho mai risposto a quella lettera. Non lo feci perché volli attribuire quel tuo sfogo a uno stato d'animo di pena e di dolore, cui non era dovuta una risposta polemica, come ero tentato di dare, ma la comprensione o almeno il silenzio. Il fatto poi che sei rimasto per anni parroco di Barbina, credo sia dipeso da questo: i tuoi superiori hanno creduto di non riconoscere in te la necessaria disposizione alla carità pastorale, ma piuttosto lo zelo fustigatore che ti fa apparire dominatore delle coscienze prima ancora che padre. "E' in queste considerazioni che io scrivo anche l'episodio della lettera al clero sul rettore Bonanni, il tuo silenzio che direi programmatico agli inviti, la tua assenza (non dico ora ma quando stavi in buona o migliore salute) a tutti i raduni sacerdotali, il tuo atteggiamento non sempre comprensivo verso gli altri sacerdoti diocesani, che non sono certo tutti perfetti, ma tuttavia degni di stima, di affetto, di comprensione, semmai di correzione fraterna. 

   "Tutto questo, anche se in parte è dovuto a malintesi passati fra te e la Curia di cui non ti do tutta la responsabilità, ha contribuito a creare un clima di isolamento e quasi di timidezza da parte degli altri sacerdoti nei tuoi riguardi. In parte quindi il sentirti come tagliato fuori dalla Diocesi è dipeso da quello che tu chiami il tuo "esilio" a Barbiana, ma in parte dal tuo carattere e dal tuo atteggiamento.

   "Poteva proprio la Chiesa, nella quale mansiones multa sunt, come tu dici, approvarti senz'altro e onorarti, come chiedi nella tua ultima? Tu sei di quelle persone che certo rendono a modo loro testimonianza al Signore perché credono in lui e per lui si sacrificano, ma che sono anche spiritualmente dei solitari

   "Ad ogni modo anche da parte dei tuoi superiori forse c'è stata una certa difficoltà a superare gli aspetti formali e difensivi, una paternità che non sempre ha saputo trovare i modi di esprimersi. "Ho voluto scriverti tutto questo, e anche abbastanza lungo, per affetto sincero, e perché è giusto che tu conosca tutto il mio pensiero. D'ora in avanti conviene superare il passato; quanto ci sta dietro deve servire soltanto di avviso e di monito per l'avvenire.

   "Per le tue necessità ti mando l'unito assegno di L.300.000. Duecentomila me le ha inviate la Santa Sede in seguito alla mia risposta alla lettera che ti inviai in copia; il resto ho aggiunto io.

   "Ti auguro di star meglio per la tua salute, e ti benedico.

Aff.mo in Dio Ermenegildo Florit.

 

Da "Lettere di Don Lorenzo Milani priore di Barbiana" pag. 281-284- Arnoldo Mondatori Editore

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