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   Veglie News - GIORNATA DELLA MEMORIA  - Gennaio 2013

 

In occasione della Giornata della Memoria

Un ricordo dei Bambini di Terezin

 

"I Bambini di Terezin"

di Anita Frankovà
Direttore del museo ebraico di Praga

 

DISEGNI DEI BAMBINI DI TEREZIN

 

Nel periodo in cui durò il ghetto – dal 24 novembre 1941 fino alla liberazione avvenuta l’8 maggio 1945 – passarono per lo stesso 140.000 prigionieri. Proprio a Terezin perirono circa 35.000 detenuti. Degli 87.000 prigionieri deportati a Est, dopo la guerra fecero ritorno solo 3.097 persone.

Fra i prigionieri del ghetto di Terezin ci furono all’incirca 15.000 bambini, compresi i neonati. Erano in prevalenza bambini degli ebrei cechi, deportati a Terezin insieme ai genitori, in un flusso continuo di trasporti fin dagli inizi dell’esistenza del ghetto. A maggior parte di essi morì nel corso del 1944 nelle camere a gas di Auschwitz. Dopo la guerra non ne ritornò nemmeno un centinaio e di questi nessuno aveva meno di quattordici anni. I bambini sopportarono il destino del campo di concentramento assieme agli altri prigionieri di Terezin.

Dapprima i ragazzi e le ragazze che avevano meno di dodici anni abitavano nei baraccamenti assieme alle donne; i ragazzi più grandi erano con gli uomini. Tutti i bambini soffrirono assieme agli altri le misere condizioni igieniche e abitative e la fame. Soffrirono anche per il distacco dalle famiglie e per il fatto di non poter vivere e divertirsi come bambini. Per un certo periodo i prigionieri adulti riuscirono ad alleviare le condizioni di vita dei ragazzi facendo sì che venissero concentrati nelle case per i bambini.

La permanenza nel collettivo infantile alleviò un tantino, specialmente sotto l’aspetto psichico, l’amara sorte dei piccoli prigionieri. Nelle case operarono educatori e insegnanti prigionieri che riuscirono, nonostante le infinite difficoltà e nel quadro di limitate possibilità, a organizzare per i bambini una vita giornaliera e perfino l’insegnamento clandestino. Sotto la guida degli educatori i bambini frequentavano le lezioni e partecipavano a molte iniziative culturali preparate dai detenuti. E non furono solo ascoltatori: molti di essi divennero attivi partecipanti a questi avvenimenti, fondarono circoli di recitazione e di canto, facevano teatro per i bambini. I bambini di Terezin scrivevano soprattutto poesie. Una parte di questa eredità letteraria si è conservata.

L’educazione figurativa veniva organizzata nelle case dei bambini secondo un piano preciso. Le ore di disegno erano dirette dall’artista Friedl Dicker Brandejsovà. Il complesso dei disegni che si è riusciti a salvare e che fanno parte delle collezioni del Museo statale ebraico di Praga, comprende circa 4.000 disegni. I loro autori sono per la gran parte bambini dai 10 ai 14 anni.

Utilizzavano i più vari tipi e formati della pessima carta di guerra, ciò che potevano trovare, spesso utilizzando i formulari già stampati di Terezin, le carte assorbenti. Per il lavoro figurativo i sussidi a disposizione non bastavano e i bambini dovevano prestarseli a vicenda.

Sotto l’aspetto tematico i disegni si possono suddividere in due gruppi fondamentali: da una parte di disegni a tematica infantile, in cui i piccoli autori tornavano alla loro infanzia perduta. Disegnavano giocattoli, piatti pieni di cose da mangiare, raffiguravano l’ambiente della casa perduta.

Disegnavano e dipingevano prati pieni di fiori e farfalle in fiore e farfalle in volo, motivi di fiaba, giochi di bambini. La maggior parte della collezione comprende questo tipo di disegni. Il secondo gruppo è formato da disegni con motivi del ghetto di Terezin.

Raffigurano la cruda realtà in cui i bambini erano costretti a vivere. Qui incontriamo i disegni delle caserme di Terezin, dei blocchi e delle strade, dei baraccamenti di Terezin con i letti a tre piani, i guardiani. Ma i bambini disegnavano anche i malati, l’ospedale, il trasporto, il funerale o un’esecuzione.

Nonostante tutto però i piccoli di Terezin credevano in un domani migliore. Espressero questa loro speranza in alcuni disegni in cui hanno raffigurato il ritorno a casa. Sui disegni c’è di solito la firma del bambino, talvolta la data di nascita e di deportazione a Terezin e da Terezin. La data di deportazione da Terezin è anche in genere l’ultima notizia del bambino. Questo è tutto quanto sappiano sugli autori dei disegni, ex prigionieri bambini del ghetto nazista di Terezin. La stragrande maggioranza dei bambini di Terezin morì. Ma è rimasto conservato il loro lascito letterario e figurativo che a noi parla delle sofferenze e delle speranze perdute.

 

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Il Ghetto di Terezin

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VIAGGIO A  TEREZIN

Il ghetto ebraico creato dai nazisti è un settore della città circondato da un muro di cinta destinato ad essere riempito di tutta la popolazione ebraica abitante nel circondario, oppure, come nel caso di Terezin, della popolazione ebraica dell’intera regione Boemia-Moravia. E’ una specie d’immensa prigione che serve da serbatoio per masse di ebrei destinati alla morte tramite periodici trasferimenti verso luoghi segretamente adibiti all’assassinio in Polonia chiamati campi della morte, più tardi sostituiti dal centro di sterminio di Auschwitz. Lo spazio del ghetto, così svuotato, viene continuamente riempito con nuovi arrivi di persone arrestate nella zona.

A Terezin, su un’area che aveva contenuto in precedenza 6-7.000 abitanti, fu stipata, per ondate successive, una popolazione che raggiunse, nel 1942,    87.093 persone.

Terezin è una città della Cecoslovacchia che servì da ghetto tra il 1941 e il 1945, per circa 140.000 ebrei ivi deportati dai nazisti dall’Europa Centrale ed Orientale.

I nazisti concentrarono a Terezin due categorie di persone:

• tutti gli abitanti ebrei del Protettorato di Boemia-Moravia;

• alcuni ebrei anziani, invalidi di guerra e persone illustri o in possesso di alte decorazioni al valor militare della prima guerra mondale, provenienti dalla Germania e da altri Paesi Occidentali.

I piani nazisti prevedevano un duplice scopo:

• trasferire gradatamente gli abitanti dal ghetto ai campi di sterminio;

• nascondere al mondo libero il fatto che la comunità ebraica europea fosse in procinto di essere sterminata, esibendo propagandisticamente Terezin come un “insediamento modello”.

Numerosi trasporti furono organizzati da Terezin verso vari campi della morte prima dell’ottobre 1942. Dopo tale data tutti i trasporti di deportati furono diretti ad Auschwitz in Polonia. Il totale delle vittime di Terezin ammonta a 140.937 ebrei, dei quali 33.529 morirono nel ghetto e 88.196 nei campi della morte e ad Auschwitz.

 

 

 

 

 

La funzione di Terezin

Terezin è uno dei tasselli della “topografia del terrore” che i nazisti concepirono e realizzarono per mettere in atto la “soluzione finale” del problema ebraico. E tuttavia si tratta di un tassello particolare: un campo di concentramento che doveva servire da specchio per le allodole, da mostrare al mondo intero. Insomma un eccezionale strumento di propaganda da sfruttare al momento opportuno.

Theresienstadt si trova in Cecoslovacchia, a una cinquantina di chilometri da Praga. Un “Privilegiert-Kz”, un campo di concentramento per privilegiati. Vi erano infatti rinchiusi molti personaggi la cui eliminazione non sarebbe facilmente passata sotto silenzio: famosi attori e cineasti, musicisti e cantanti, pittori e scrittori, provenienti soprattutto dalla Boemia, dalla Moravia, e successivamente anche dalla Germania, dall’Austria, dall’Olanda e dalla Danimarca;l'intellighenzia ebraica dell’epoca, concentrata in uno spazio chiuso da filo spinato e controllata a vista da crudeli carcerieri. All’interno del campo, inaugurato alla fine del 1941, venivano all’inizio tollerate, e in seguito addirittura incoraggiate, iniziative artistiche di vario genere. E’ così che i prigionieri potevano creare spettacoli teatrali e musicali (famosa l’operetta “Brundibar”), dipingere e applicarsi alle diverse arti.

Le serate erano dedicate alle letture e ad attività artistiche, ma le pessime condizioni del campo e la fame che attanagliava e accomunava tutti i prigionieri costituiva una sorta di spartiacque tra la normalità delle situazioni che si creavano a Terezin e la effettiva ed assai crudele realtà.

I prigionieri gestiscono un comitato per le attività del tempo libero (Frezeitgestaltung) e coordinano stimolano e talvolta impongono agli altri prigionieri diverse attività culturali.

Ma tanta liberalità non deve indurre in inganno. Questo campo-modello oltre ad essere utilizzato dalla propaganda e mostrato come esempio. Quando,nell’ottobre del 1943, il governo danese chiederà conto degli ebrei catturati dai nazisti a Copenhagen, le autorità naziste concederanno una visita del Campo ai rappresentanti della Croce Rossa internazionale. Ma la visita potrà avere luogo solo nella primavera dell’anno successivo: tale tempo servirà ai tedeschi per effettuare una eccezionale operazione di abbellimento del campo. Le facciate delle case verranno ridipinte, le vetrine dei negozi riempite di prodotti, saranno piantate aiuole e fiori; sarà addirittura costruita una sala musicale. La popolazione in eccesso, che determina un sovraffollamento del campo, non costituirà un problema: 7500 persone vengono mandate ad Auschwitz. Terezin potrà meritare così l’eufemistica definizione di “centro residenziale ebraico”.

La Croce Rossa internazionale e due membri del governo danese visiteranno il Campo il 23 giugno 1944 per circa tre ore, durante le quali la messa in scena del Campo modello sapientemente orchestrata funzionerà alla perfezione. Assisteranno ad una partita di calcio, ad un’operetta realizzata dai bambini, e ad un concerto. Vedranno i prigionieri assorti in tranquille attività di lavoro e in questo breve tempo non saranno in grado di percepire alcunché di anormale o di artefatto. Le minacce di morte subite dai prigionieri perché si mostrassero felici avevano sortito il loro effetto.

Il rapporto del delegato della Croce Rossa convincerà i dirigenti a desistere dalla richiesta di visitare altri campi di concentramento: né ad Auschwitz né negli altri campi posti più ad oriente ci sarà alcuna visita della Croce Rossa. Terezin aveva funzionato.
 

Creatività prigioniera

Il ghetto di Terezin è stato paradossalmente un grande atelier di attività creative in tutti i settori: arti grafiche, musica, teatro, canto, poesia, letteratura di ogni genere, sia per gli adulti, sia per i bambini.

Non tutti gli artisti erano professionisti, alcuni erano già dilettanti e altri lo divennero durante la prigionia.

Tutte le attività creative venivano svolte dopo le ore di lavoro, ma ciò non diminuiva il desiderio di realizzarle ed interpretarle.

La preparazione dei vari spettacoli era accurata, la serietà dei maestri e degli allievi, adulti e bambini, raggiungeva un alto livello culturale che richiamava un numeroso pubblico di prigionieri. I tedeschi premiarono questi successi con immediate deportazioni.

I bambini, non disponendo di giocattoli, tranne quelli del loro corredo di prigionia, usarono oggetti non adatti alla condizione infantile, appartenenti alla quotidianità di Terezin. Esempio concreto è il carro funebre riciclato nel ghetto come mezzo per la distribuzione del pane e per il trasporto dei cadaveri.

Tutto il materiale per l’attività grafica proveniva dalla stamperia interna del ghetto (espressamente creata per la propaganda nazista) e dal dipartimento tecnico per progettisti e grafici. Unito ad ogni tipo di materiale di recupero, venne utilizzato a turno da tutti per far fronte alle varie necessità.

L’attività grafica fu fondamentale per tutti i prigionieri di Terezin perché servì a rappresentare la vita passata e sognata al suo positivo, come se fosse un antidoto al male.

Così, quasi per magia, la fame si tramutava in abbondanza, la baracca in casa con tendine ricamate, tovaglia pulita e fiori sulla credenza.

Prima che il ghetto venisse liberato i nazisti tentarono di cancellarne ogni traccia. Alcune centinaia di opere vennero trovate e conservate dai sopravvissuti. Attualmente questi documenti sono esposti al Museo Ebraico di Stato di Praga, nel Museo di Terezin e parte a Yad Vashem, l’Istituto delle vittime dello sterminio e degli eroi, a Gerusalemme.

 

La Musica di Terezin

Musicisti professionisti e semplici dilettanti sfidarono l’iniziale proibizione di svolgere qualsiasi iniziativa artistica, pur si organizzare un’attività musicale all’interno del ghetto.

A Terezin non esisteva un pianoforte, ma ne venne trasportato uno, clandestinamente, trovato semidistrutto in un ex-liceo. Gideon Kelin, giovane musicista di straordinario talento e di eccezionale statura morale, ucciso ad Auschwitz, restaurò lo strumento di nascosto con mezzi di fortuna.

Si ha notizia di almeno due formazioni quartettistiche che iniziarono la loro attività clandestinamente perché sprovvisti di musica stampata. Questi musicisti copiavano a mano, o ricostruivano a memoria gli spartiti, su carta di pessima qualità, rischiando la vita. Segretamente si organizzarono i primi concerti nelle soffitte e nelle cantine dove, in un’atmosfera di estrema commozione, vennero eseguiti Quartetti di Schubert e di Dvoràk e Sonate di Beethoven per pianoforte.

Più significativo ancora fu l’allestimento dell’operina per bambini, intitolata “Brundibàr”, composta e strumentata a Terezin da Hans Kràsa. Questa fu l’unica opera lirica che poté essere rappresentata in forma teatrale, con scene e costumi. L’operina venne replicata 55 volte e il livello dello spettacolo era tanto elevato, che Berlino mandò a Terezin una troupe cinematografica per girare un documentario di propaganda. In quell’occasione, “Brundibàr” venne rappresentata in un teatro vero e proprio. Finite le riprese tutti i membri dell’orchestra, i collaboratori, i bambini che vi avevano partecipato, vennero deportati ad Auschwitz.

 

Il Teatro a Terezin

Un cabaret clandestino recitato nella cantina di una baracca fu la prima attività artistica che venne creata a Terezin, poco dopo l’istituzione del ghetto.

Queste iniziative illegali comportavano gravi rischi sia per gli astanti sia per gli artisti: anche un po’ di cibo in più, una sigaretta, un semplice appuntamento tra padre e figlio o tra moglie e marito potevano costare la vita e a Terezin il rischio era un elemento di vita quotidiana.

Testimonianze e documenti rilevano l’altissimo livello artistico delle recite. L’architetto Frantisek Zelenka, già scenografo al “Teatro Liberato” di Praga, creò scene e costumi di incredibile genialità con materiali poverissimi: pannelli da costruzione di scarto, paglia, scatolette di latta, juta, trucioli e carta. I palcoscenici erano ricavati nelle soffitte delle baracche e ciò contribuiva a creare un’atmosfera irreale, nelle sale polverose, trasformando stracci appesi in grotteschi sipari.

Le rappresentazioni si tenevano alle sei pomeridiane, alla fine dell’orario di lavoro e solo dopo lo spettacolo era possibile studiare e provare nuovi allestimenti. Due volte alla settimana si tenevano seminari per principianti e in quelle notti restava poco tempo per dormire. Ogni partenza dal ghetto portava via qualche attore difficile da sostituire immediatamente; talvolta il cast fu decimato in modo da rendere impossibile la prima rappresentazione preparata a prezzo di molto studio e di notevoli fatiche.

 

Alcune poesie dei bambini di Terezin

 

Voi, nuvole grigio acciaio

Voi, nuvole grigio acciaio, dal vento frustate,
che correte verso mete sconosciute
Voi, portatevi il quadro dell’azzurro cielo
Voi, portatevi il cinereo fumo
Voi, portatevi della lotta il risso spettro
Voi, difendeteci! Voi, che siete fatte solo di gas.
Veleggiate per i mondi, semplicemente, spazzate dai venti
come l’eterno viandante aspettando la morte
voglio una volta così come voi – i metri misurare
di lontananze future e non tornare più
Voi, cineree nuvole sull’orizzonte
Voi, siate speranza e sempiterno simbolo
Voi, che con il temporale il sole coprite
Vi incalza il tempo! E dietro a voi è il giorno!

Vedem, Hanu_ Hachenburg (1929 morto nel 1944)

Sono Ebreo

Sono ebreo ed ebreo resto
anche se dalla fame morirò
così al popolo non recherò sconfitta
sempre per il mio popolo sul mio onore combatterò
Orgoglioso del mio popolo sono
che onore ha questo popolo
sempre sarò appresso
sempre di nuovo vivrò

Franta Bass

 

Nostalgia della casa

E’ più di un anno che vivo al ghetto,
nella nera città di Terezin,
e quando penso alla mia casa
so bene di che si tratta.
O mia piccola casa, mia casetta,
perché m’hanno strappato da te,
perché m’hanno portato nella desolazione,
nell’abisso di un nulla senza ritorno?
Oh, come vorrei tornare
a casa mia, fiore di primavera!
Quando vivevo tra le sue mura
io non sapevo quanto l’amavo!
Ora ricordo quei tempi d’oro:
presto ritornerò, ecco, già corro.
Per le strade girano i reclusi
e in ogni volto che incontri
tu vedi che cos’è questo ghetto,
la paura e la miseria.
Squallore e fame, queste è la vita
che noi viviamo quaggiù,
ma nessuno si deve avvedere:
la terra gira e i tempi cambieranno.
Che arrivi dunque quel giorno
in cui ci rivedremo, mia piccola casa!
Ma intanto prezioso mi sei
perché mi posso sognare di te.

1943 Anonimo

Lacrime

e dopo di loro la rassegnazione giunge,
lacrime
senza le quali la vita non è,
lacrime
ispirazione alla tristezza
lacrime che scendono senza tregua

Alena Synkovà

 

Una volta

Una volta una volta arriva
Una volta la consolazione appare
Una volta compare la speranza
Una volta terribilmente si sfoga
Una volta una brocca di lacrime scoppia
Una volta alla morte dice “Taci ormai”
Una volta arriva il giorno giusto
Una volta d’acqua sarà il vino
Una volta di piangere smettiamo
Una volta le ferite si rimarginano
Una volta Giuseppe, Dio questo
vincolo di schiavitù getta
Una volta anche Erode
muore impazzendo dal terrore
Una volta Davide pastore
di porpora si colorirà la tunica
colui che lo inseguiva
diventa storpio il vecchio Re Saul.
Una volta ha fine anche il dolore
della malinconica esistenza
una volta arriva il salvatore
per levare il giogo ai soggiogati
Una volta saremo se vuole il Signore
A Canaan portati
Una volta l’aloe fiorirà
Una volta la palma i frutti dà
Una volta tutto quello che è paura
Una volta passa la nostra povertà
Una volta entriamo nella tenda di Dio
Una volta, una volta per noi germoglierà.

Ivo Katz

Lettera a papà

Mammina ha detto, che oggi debbo scriverti
ma ho avuto tempo, nuovi bimbi sono arrivati
dagli ultimi trasporti e giocare volevo
non mi accorgevo come fugge l’istante.
Mi sono sistemato, dormo sul materasso
per terra, per non cadere.
Almeno non c’è bisogno di farsi il letto
ed al mattino dalla finestra vedo il cielo.
Ho un po’ tossito, ma non voglio ammalarmi
così sono felice quando corro in cortile.
Oggi da noi una veglia si terrà
proprio come in estate al campo degli scout.
Canteremo canzoni conosciute
la signorina suonerà la fisarmonica.
So che ti meravigli di come stiamo bene
e che sicuramente ti rallegreresti di stare qui con me.
Qualcos’altro, papà: vieni qui presto
e sia più lieto il tuo volto!
Quando sei triste, mammina allora si dispiace
e dei suoi occhi mi manca lo splendore.
E hai promesso di portarmi i libri
che veramente da leggere non ho nulla,
per favore vieni domani prima che sia buio
del mio grazie puoi essere sicuro.
Ormai debbo finire. Da parte della mamma ti saluto
con impazienza aspetto il suono dei tuoi passi
nel corridoio. Prima che di nuovo con noi sarai
ti saluta e ti bacia il tuo fedele ragazzo.

Hajn

E’ così

In quella che è chiamata la piazza di Terezin
è seduto un piccolo vecchio
come se fosse in un giardino.
Ha la barba e un berretto in testa.
Col suo ultimo dente
mastica un pezzo di pane duro.
Mio Dio, col suo ultimo dente:
invece d’una zuppa di lenticchie
povero superstite!

"Koleba": M. Kosck nato il 30.3.32 morto il 19.10.44 ad Auschwitz
H. Loewy nato il 29.6.31 morto il 4.10.44 ad Auschwitz
Bachner (dati anagrafici non accertati)

Tutti questi bei momenti
si son persi senza rimedio
la mia vita non ha una meta
e per cercarla non ho più le forze.
Ancora una volta soltanto
la tua testa nelle mie mani, prendere
poi chiudere gli occhi
e nelle tenebre andarsene in silenzio.

Anonimo

 

La farfalla

L’ultima, proprio l’ultima,
Così ricca, smagliante, splendidamente gialla.
Se le lacrime del sole potessero cantare contro una pietra bianca…
Quella, quella gialla
E' portata lievemente in alto.
Se ne è andata, ne sono certo, perché voleva dare un bacio d’addio al mondo.
Per sette settimane ho vissuto qui,
Rinchiuso dentro questo ghetto
Ma qui ho trovato la mia gente.
Mi chiamano le margherite
E le candele che splendono sull’abete bianco nel cortile.
Solo che io non ho visto mai un’altra farfalla.
Quella farfalla era l’ultima.
Le farfalle non vivono qui, nel ghetto.

Pavel Friedmann. 4-6-1942

 

Paura

Oggi il ghetto prova una paura diversa,
Stretta nella sua morsa, la Morte brandisce una falce di ghiaccio.
Un male malvagio sparge il terrore nella sua scia,
Le vittime della sua ombra piangono e si contorcono.

Oggi il battito di un cuore di padre narra del suo terrore
E le madri nascondono la testa tra le mani.
Adesso qui i bimbi rantolano e muoiono di tifo
Il loro sudario sconta un’amara tassa.

Il mio cuore batte ancora nel mio petto
Mentre gli amici partono per altri mondi.
Forse è meglio – chi può saperlo? –
Assistere a ciò oppure morire oggi?

No, no, mio Dio, voglio vivere!
Senza vedere dissolversi i nostri numeri.
Vogliamo avere un mondo migliore,
Vogliamo lavorare – non dobbiamo morire!

Eva Pichová, dodici anni, Nymburk

Il giardino

Un piccolo giardino,
Fragrante e pieno di rose.
Il viale è stretto,
Lo percorre un piccolo bambino.

Un piccolo bambino, un dolce bambino,
Come quel fiore che sboccia.
Quando il fiore arriverà a fiorire
Il piccolo bambino non ci sarà più.

Franta Bass